Vito Pastore…e non chiamatelo chef. Oggi guida la cucina de L’Antico Torchio a Loreto Aprutino
di Informacibo
Ultima Modifica: 14/06/2017
Tutto comincia quando Vito è un universitario fuori sede. Dalla Puglia arriva a Pescara. Condivide un appartamento con altri ragazzi e le giornate trascorrono tra le lezioni, lo studio e il tempo libero con gli amici. Quando arriva il momento di sedersi a tavola, però, Vito si sente in difficoltà. Consuetudine vuole che tra studenti “in trasferta” si condividano le conserve preparate dalle mamme, tanto che i pasti tra universitari spesso si trasformano in un trionfo di prelibatezze locali. Vito purtroppo non ha più la sua mamma, scomparsa molti anni prima, e quindi in casa manca il suo angolo delle conserve.
Da buon meridionale non può accettare questa “mancanza”. Così decide di recuperare mettendosi lui stesso ai fornelli. Complice, in seguito, una suocera che è anche un’ottima cuoca, Vito scopre di amare quell’alchimia unica che si crea in cucina. Inizia a studiare seriamente, frequentando le migliori scuole, «anche se – dice – non c’è miglior maestro della cucina».
Oggi Vito è uno chef affermato, è formatore in prestigiose Accademie ed ha portato in poco tempo la sua cucina al ristorante l’Antico Torchio ad essere menzionata nelle Guide dell’Espresso e del Gambero Rosso.
Eppure Vito approda a Loreto quasi per caso, per una sostituzione di appena tre giorni. “Una chiamata arrivata proprio il giorno del mio trentesimo compleanno”. In cucina trova un mostro sacro, Emanuele Saracino, uno dei pasticceri più famosi in Italia. All’inizio sono scintille, il capochef non lo accoglie affatto bene, «diceva che sarei durato un giorno». Ma Vito è uno che ama le sfide e a fare le valige alla fine non è stato lui, ma l’altro.
Inizia così l’avventura di Vito al Castello Chiola. L’ambizione è quella di portare il ristorante l’Antico Torchio nell’Olimpo della ristorazione. Come? Lo chef Pastore ha la sua personale ricetta: puntare tutto sulla qualità, sulla semplicità, o meglio, come ama sottolineare, sulla sincerità dei sapori. I suoi punti di riferimento sono i classici, uno su tutti Marco Pierre White: considerato uno dei fondatori della cucina moderna, è stato lo chef più giovane ad aver ricevuto tre stelle Michelin.
Un percorso di ricerca instancabile, una cucina pulita e vera, perché solo così si apprezzano i sapori. Studio e sperimentazione, perché infinite possono essere le combinazioni di ingredienti, sempre selezionatissimi, e gusti. Tradizione certo, ma senza rinunciare a qualche tocco audace. Vito ama i “contrasti”, tanto che così ha chiamato uno dei suoi piatti preferiti. «Volevo creare un piatto alla brace da servire crudo». Ma come risolvere questa apparente contraddizione? Con un ingrediente a sorpresa: la cenere, che regala agli scampi marinati un inaspettato gusto affumicato. A completare scaglie di tartufo e carote brasate al vino e ciò che viene fuori è un vero e proprio “Contrasto” di sapori tutto da scoprire. Nella cucina dello chef Pastore nulla è come sembra, il cibo è festoso, lavorato e trasformato come un’opera d’arte.
Ad esempio i “Ravioli pop”, che nascono dal suo desiderio di sperimentare un “bollito estivo”. «Ho cercato un modo per alleggerire il classico bollito – spiega Vito -, così ho rispettato le caratteristiche delle varie tipologie di carni utilizzate, che richiedono tempi di cottura diversi». Il risultato è un trionfo di colore, quattro ravioli con colori distinti, ognuno con la sua storia, la sua identità, grazie ad un rispetto quasi maniacale per le materie prime. Ogni ingrediente viene valorizzato e “rispettato” nelle sue caratteristiche. Perché accanto alla voglia di sperimentare c’è anche il continuo ritorno alle origini, alla sua Puglia, a quell’atmosfera unica che si respira durante le feste di paese, quando la dolcezza dello zucchero filato si mescola con l’inconfondibile profumo delle mandorle tostate. Così nasce “Sud in festa” , un semifreddo al caramello bruciato con mandorle tostate ed essenza di liquirizia: un tuffo indietro nel tempo, a ripescare le sensazioni dell’infanzia. E a fare la differenza nella cucina di questo giovane chef è proprio questo: l’incanto, a volte ingenuo, con cui racconta i suoi piatti.
Perché per Vito cucinare non è un lavoro, è una necessità.
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