Spesa alimentare: le famiglie riducono quantità e qualità. In calo l’acquisto di olio e vino
di Informacibo
Ultima Modifica: 14/02/2016
Roma 14 febbraio 2016. La spesa media mensile delle famiglie nel 2015 risulta inferiore del 6,3% rispetto al 2008 (che equivale a 156 euro in meno, passando da 2.487 a 2.331 euro medi) e del 2,9% rispetto a dieci anni prima. Nel complesso il 57% delle famiglie italiane, negli ultimi anni, ha ridotto la quantità e/o la qualità della spesa alimentare.
E' quanto emerge dal rapporto 2015 "I consumi delle famiglie italiane" realizzato dalla Filcams-Cgil, in collaborazione con la Fondazione di Vittorio della Cgil e l'istituto Tecnè, in cui si delineano anche le nuove modalità di acquisto, all'impronta del risparmio.
Ricerca dei prezzi più convenienti su internet
Con Internet che fa da bussola: il 30% delle famiglie verifica prima online i migliori prezzi di vendita dei prodotti alimentari che andrà a comprare, percentuale che sale al 63% quando si tratta di generi non-alimentari.
Il 29% delle famiglie non riesce a soddisfare i bisogni
Dal rapporto emerge anche che sette famiglie su dieci hanno cambiato standard di consumo. E che il 29% dichiara consumi inferiori alle sue necessità reali, non riuscendo quindi a soddisfare tutti i bisogni effettivi. Così, per far fronte alle difficoltà della crisi, sono cambiate anche le modalità di acquisto. Cercare il miglior prezzo, fare scorte quando il prodotto è in offerta, comprare articoli usati, nei discount o negli outlet, ricorrere agli acquisti online è la strategia che sempre più spesso viene messa in campo dalle famiglie.
80% delle famiglie compra prodotti in offerta o saldo
L'80% delle famiglie nel corso del 2015 ha pianificato e fatto acquisti nei periodi in cui i prodotti erano in offerta o in saldo, per un controvalore di circa 153 miliardi di euro, equivalente al 15% della spesa delle famiglie residenti in Italia. Il 18% delle famiglie ha acquistato beni e servizi su internet (da operatori economici e per un valore annuo di circa 25 miliardi di euro), mentre il 7% ha acquistato prodotti usati da operatori economici o da privati per un controvalore pari a circa 12 miliardi di euro. In particolare, la percentuale di famiglie che, nel corso dell'anno, si è rivolta al mercato dell'usato acquistando beni direttamente dai privati è pari al 2%, per un controvalore di circa 6 miliardi di euro.
Si scelgono cibi di bassa qualità
Quanto agli standard di consumo, nel complesso il 57% delle famiglie italiane, negli ultimi anni, ha ridotto la quantità e/o la qualità della spesa alimentare. Se si considerano i consumi non-alimentari – emerge sempre dal rapporto – la quota sale al 72%. In particolare il 5% delle famiglie ha abbassato il livello di qualità dei prodotti alimentari che acquista, il 34% ha tagliato sulla quantità, mentre il 19% ha ridotto sia qualità che quantità. Ancora più netti i cambiamenti che riguardano la spesa non alimentare: il 5% ha ridotto la qualità, il 42% la quantità e il 26% qualità e quantità.
In calo spese per la salute e la cura della persona
La 'spending review' familiare ha riguardato innanzitutto la voce che raggruppa il vestirsi, il prendersi cura di sè e l'andare in vacanza, con un taglio della spesa pari al 18,5% sempre rispetto all'anno di inizio della crisi (scendendo a 264 euro al mese nel 2015 dai 324 euro mensili del 2008). A diminuire è anche la spesa per la salute, l'istruzione e l'informazione, abbattuta del 10% (da 140 a 126 euro mensili). Quella per mangiare e abitare, sempre secondo il rapporto, perde il 2% (da 1.469 a 1.440 euro).
Per Maria Grazia Gabrielli, segretario generale della Filcams Cgil, "i cambiamenti che la nostra società ha subito con la crisi degli ultimi anni non possono essere sottovalutati. Abitudini diverse, consumi oculati, i cittadini e le famiglie hanno modificato le loro strategie di acquisto e questo cambiamento puo' essere considerato come strutturale. La diminuzione dei consumi e la contrazione delle entrate hanno portato le aziende del settore a cercare soluzioni per arginare la crisi, troppo spesso individuandole nella diminuzione del costo del lavoro. Riforme del mercato del lavoro, liberalizzazioni degli orari e delle aperture commerciali, assenza di un contratto nazionale di riferimento non hanno, invece, aiutato la ripresa dei consumi. La contrattazione – conlude Gabrielli – resta un momento di confronto importante che non deve essere svilito. Il contratto nazionale deve rimanere il quadro di riferimento normativo, anche per dare risposte sul fronte dei consumi, valorizzando e riqualificando il lavoro".
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