Lucio Roncoroni (CDA) sui grossisti di bevande: a rischio 1.500 aziende
Il direttore del Consorzio di distributori: importante dare voce al settore. Con l'emergenza Coronavirus a rischio il 76% delle aziende
di Simone Pazzano
Ultima Modifica: 17/04/2020
La grave emergenza sanitaria provocata dal Coronavirus sta causando e causerà in futuro grossi problemi economici alle imprese italiane. Tra i tanti comparti a rischio si è parlato molto della ristorazione e più in generale del “fuori casa” dimenticandosi però di chi contribuisce ad alimentare questo settore: i grossisti di bevande. Abbiamo parlato della situazione che sta vivendo il mondo del beverage e dei suoi numeri con Lucio Roncoroni, direttore del consorzio CDA, che con i suoi 90 soci copre il 18% del mercato ed è leader nel settore della distribuzione di bevande.
Stiamo affrontando uno scenario complesso che coinvolge tutto il mondo e che ci costringe a vivere tra speranza e insicurezza, sottolinea Roncoroni:
“Il mondo si sta confrontando con una crisi che oggi e in prospettiva sembra lasciare poco spazio all’ottimismo. Ci interroghiamo tutti sui due aspetti principali della vicenda: quello sanitario e quello economico. Da un lato la speranza che la scienza possa velocemente individuare un vaccino o una cura al coronavirus, dall’altro il grande interrogativo legato alle conseguenze economiche che la pandemia provocherà”.
Per il direttore del Consorzio è indubbio che l’aspetto sanitario venga prima di ogni cosa:
“La ricerca dell’immunità deve essere messa necessariamente nelle priorità degli sforzi collettivi. Stiamo fronteggiando un virus, che possiamo definire “democratico“, che annulla le differenze e nel suo paradosso unisce nella fratellanza, quella del bisogno e del rilancio dell’utopia dell’eguaglianza, dei diritti e dell’accesso alle risorse. La speranza è che possa nascere una nuova consapevolezza, una nuova umanità ma soprattutto una nuova ‘intelligenza’ individuale e collettiva”.
Ma l’altra faccia della medaglia di questa emergenza sanitaria è rappresentata dall’aspetto economico.
“Un risvolto più visibile, più quantificabile negli effetti immediati e in quelli futuri e che rispetto al virus è meno democratico. Le conseguenze economiche di Covid-19 non saranno per tutti le stesse. Sulla partita economica non esiste la speranza di un ‘vaccino’ buono per tutti. Ci auguriamo fortemente che non ci siano, scusatemi la battuta, ‘figli e figliastri’. Ci sono grandi aspettative su quanto lo Stato metterà a disposizione per il sostegno delle imprese e soprattutto con quali tempistiche. Ci interroghiamo forse poco invece sui ‘costi’ che questi aiuti avranno nel breve e lungo tempo”.
Come direttore di CDA, consorzio che con i suoi 90 soci copre il 18% del mercato ed è leader nella distribuzione di bevande, Lucio Roncoroni pone l’attenzione su un settore troppo spesso dimenticato.
“Sento forte in questi giorni la necessità di dare voce a chi voce oggi non ha. Mi riferisco ad una categoria di imprenditori, e sono tanti, che in tempi non sospetti ho avuto modo di definire sarcasticamente ‘invisibili’. Invisibili non significa inutili, significa invece che il loro lavoro è per lo più sconosciuto alla maggior parte delle persone. Mi riferisco ai grossisti di bevande, a quegli operatori che da sempre provvedono a rifornire tutti quei locali – bar, ristoranti, pizzerie, discoteche, alberghi, chioschi sulle spiagge, rifugi in alta montagna – dove tutti come consumatori abbiamo bevuto e condiviso con amici e parenti i nostri momenti di socialità”.
Una realtà fatta di tante aziende, che lavorano fianco a fianco con i pubblici esercizi:
“Credo che pochissime persone si siano poste almeno una volta la domanda di chi rifornisce i locali in cui tutti consumiamo le nostre bevande preferite. Beh, sono circa duemila aziende! Imprenditori che operano sul mercato Italia e che da sempre sono stati al fianco dei pubblici esercizi non solo per la consegna di prodotti, ma nel tempo li hanno anche sostenuti finanziariamente e affiancati come consulenti del mondo beverage”.
“Il settore dell’ingrosso delle bevande merita attenzione né più né meno di tanti altri comparti economici. Merita quell’attenzione che possa consentirci di continuare a svolgere un lavoro tanto invisibile quanto fondamentale per la società. Attenzione non per una ricerca di notorietà o di vantaggi economici, quanto per una sorta di giustizia morale. Facciamo parte di quella piccola e media impresa che è sempre stata la spina dorsale dell’economia italiana e vogliamo continuare ad esserlo. Come imprenditori sappiamo bene che il nostro futuro dipenderà dal nostro lavoro, dalla capacità di affrontare le difficoltà e di reinventarci. Alla base ci deve essere lo spirito ‘guerriero’ tipico degli imprenditori e la loro determinazione a far di tutto per ripartire. Se poi ci saranno aiuti economici saremo contenti di utilizzarli e di renderli produttivi non solo per il bene nostro, ma per la società tutta”.
Grossisti di bevande, numeri e problematiche del settore
Entriamo nel dettaglio della categoria. I numeri possono sembrare freddi, ma ci restituiscono la fotografia migliore. Inquadrano con precisione la situazione, di quante aziende stiamo parlando e quindi di quante persone e famiglie. Perché non dobbiamo mai dimenticare che alla fine è sempre di questo che parliamo, anche quando si affronta un’analisi di tipo economica.
Roncoroni illustra così la situazione del comparto:
“Nella categoria ingrosso sono a rischio concreto circa 1.500 aziende con una dimensione di fatturato sotto i due milioni di euro annui. Queste aziende rappresentano il 76% della numerica e sviluppano il 35% del fatturato dell’intero comparto”.
Numeri, ma persone, come detto:
“È assolutamente da ricordare che sono aziende di carattere familiare, fortemente integrate nel tessuto sociale ed economico del paese o della città di residenza la cui attività è stata tramandata da padri a figli da almeno tre generazioni”.
La sopravvivenza di queste aziende è messa fortemente a rischio da alcuni fattori, che Roncoroni sintetizza in questi punti: le tensioni finanziarie causate dall’epidemia, il blocco dei pagamenti da parte della clientela, la ripresa lenta alla quale assisteremo unita alla forte competitività.
“Circa il 45% del fatturato delle aziende è sviluppato nel periodo estivo quindi sono fondamentali il fattore climatico, visto che parliamo di bevande, i flussi turistici e la propensione a ‘spendere’ da parte del consumatore. A parte la meteorologia di cui possiamo anche non dubitare, gli altri elementi sono fortemente in discussione”.
Allarme ho.re.ca: le difficoltà del fuori casa
Il futuro dei grossisti di bevande è messo in pericolo poi dallo tsunami che si è abbattuto sull’ho.re.ca. Il “fuori casa” rischia infatti di essere ridimensionato sia nel numero di operatori che nelle potenzialità di acquisto dei prodotti beverage.
“Non abbiamo dati in nostro possesso che ci possano portare a fare previsioni su quanti saranno nelle condizioni di poter riaprire. Prima della crisi si stimava che la numerica di locali in sede fissa ho.re.ca. oscillasse intorno alle 350.000 unità, suddivise nelle varie tipologie: bar, ristoranti, pizzerie, locali serali e notturni. Abbiamo la speranza, ma non la certezza, che tutti ce la possano fare a ricominciare. Le speranze comunque lasciano il tempo che trovano. L’oggettività ci porta a stimare che un 15/20% del totale non riaprirà, ma vorremmo poterci sbagliare”.
Coloro che ripartiranno dovranno comunque confrontarsi per almeno 12 mesi con diversi fattori, spiega il direttore di CDA:
“Limitazioni di traffico nei locali, ridimensionamento del personale, adeguatezza sanitaria dei locali, calo dei fatturati dovuti a una proposta di prodotti/servizio più limitata, ridotta disponibilità di spesa da parte dei consumatori, ridimensionamento dei momenti e delle occasioni di consumo oltre ovviamente alle incombenze economico/finanziarie che dovranno dovere gestire e affrontare. Il tutto coronato dalla mancanza del flusso turistico straniero e crediamo anche di una parte di quello italiano”.
Le contromisure a cui sta lavorando C.D.A.
Alla luce di tutte queste difficoltà, il Consorzio si sta adoperando per una ripartenza migliore possibile. Perché, come precisa Roncoroni, si tratta di una fase delicata che “se non pianificata, progettata e gestita a dovere rischia di risultare più problematica della chiusura”.
In che modo state operando?
“Nel rispetto del nostro ruolo, che è prioritariamente quello di fornire sostegno alle aziende associate, abbiamo fatto un’analisi approfondita della situazione dei nostri singoli imprenditori. Dal punto di vista commerciale, finanziario e organizzativo. L’analisi ci ha consentito di costruire una serie di cluster degli associati, raggruppandoli per necessità prioritarie per ognuno. Grazie a questo lavoro abbiamo individuato per ogni realtà le aree più critiche, che diventano di conseguenza quelle su cui convogliare i nostri sforzi”.
L’obiettivo è quindi quello di ottenere soluzioni mirate e adatte alle singole esigenze, per non lasciare indietro nessuno.
“A tal fine abbiamo creato una task force di professionisti che a seconda delle necessità e priorità affiancherà le aziende nei loro bisogni. Come dicevo in precedenza, l’obiettivo è essere vicini alle aziende per pianificare nel modo più razionale possibile la ripartenza. L’analisi dovrà essere svolta sia per quello che riguarda le vendite e i rapporti con il mondo della produzione, sia per ciò che concerne gli aspetti legati al conto economico e alla gestione finanziaria della ripartenza e dei mesi a venire”.
Un intervento a 360 gradi:
“Esatto. Parallelamente stiamo condividendo con il mondo produttivo analisi serrate e confronti incrociati per gestire al meglio, anche con chi produce, la fase della ripartenza. Si è soliti dire ‘siamo tutti sulla stessa barca’, oggi a mio avviso possiamo affermare che siamo ‘tutti nello stesso mare’ ed è in tempesta e per non perdere la rotta dobbiamo collaborare tutti a tutti i livelli, in attesa di riprendere la navigazione su un mare, speriamo presto, più calmo”.
Uno scenario quello raccontato da Lucio Roncoroni che vede tutti coinvolti e da cui sarà possibile uscire con le ossa un po’ meno rotte solo se ci sarà la partecipazione e la collaborazione di tutti.
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