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Rapporto Ancd Conad: “Liberalizzazioni e concorrenza per tornare a crescere”

di Informacibo

Ultima Modifica: 18/02/2017

Roma, 17 febbraio – Nello scenario della crisi economica più grave dal dopoguerra a oggi, che ha prodotto e ancora produce pesanti effetti economici e sociali a causa delle molte imprese che hanno chiuso o rischiano di chiudere e della crescente disoccupazione, una medicina efficace sarebbe certamente lo sviluppo di una reale concorrenza, con l’abolizione delle barriere anacronistiche che ostacolano l’ingresso di nuovi operatori e limitano i benefici per i cittadini.

È una delle conclusioni cui è pervenuta ieri la tavola rotonda Problemi e prospettive del commercio in Italia a 10 anni dalla modifica del titolo V della Costituzione organizzata da Ancd Conad, in occasione della presentazione della IX edizione del Rapporto sulla legislazione commerciale, alla quale sono intervenuti tra gli altri il ministro per gli Affari regionali e le autonomie Graziano Delrio, il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, il presidente della Commissione Industria, commercio e turismo del Senato Massimo Mucchetti, il presidente della V Commissione della Camera Francesco Boccia e, ovviamente, i “padroni di casa” Sergio Imolesi e Francesco Pugliese, rispettivamente segretario generale Ancd Conad e AD Conad.

“Serve l’avvio di una nuova stagione di liberalizzazioni” per liberare risorse, tutelare il cittadino-consumatore e stimolare la crescita. Per farlo occorre però modificare l’assetto attuale del “Ddl Concorrenza perchè così com’è disattende le richieste dell’Antitrust di apertura del mercato dei farmaci, dei carburanti e delle professioni“. È lungo questa direttrice che Conad, in occasione della presentazione del X° Rapporto sulla legislazione commerciale di Ancd avvenuta oggi a Roma, propone la sua ricetta per uscire dalla crisi. “L’avvio di una nuova stagione di liberalizzazioni, il taglio della burocrazia e la garanzia della legalità – le tre chiavi di lettura del nuovo Rapporto – sono condizioni indispensabili per migliorare l’efficienza delle imprese e dare risposta alle aspettative dei cittadini. E sostenere la crescita del Pil oltre la soglia attuale, ferma a meno dell’1%”.

Il Rapporto conferma criticità ed elementi negativi noti da tempo: sono sempre gli eccessi di burocrazia, la mancata concorrenza, l’illegalità e la corruzione le palle di piombo che, a più di otto anni dall’inizio della crisi economica, impediscono all’Italia di salire sul treno della ripresa. I fattori politico-economici internazionali come l’emergenza immigrazione, la generalizzata situazione di instabilità politica e finanziaria, il prezzo delle materie prime e via enumerando, che ovviamente incidono in modo importante come in ogni altro Paese, non sono dunque la sola causa dell’andatura zoppicante della nostra economia, condizionata molto di più dai fattori endemici prima ricordati.  Ai quali  bisognerebbe subito rispondere – questa la “ricetta” emersa dalla tavola rotonda di ieri – avviando una nuova stagione di liberalizzazioni e riforme in grado di tagliare i lacci della burocrazia e garantire la legalità, condizioni indispensabili per migliorare l’efficienza delle imprese e dare risposta alle aspettative dei cittadini, sostenendo la crescita del Pil oltre la soglia attuale, ferma sotto l’1%.
Sarebbe però necessario darsi una mossa: nonostante l’Indice delle liberalizzazioni 2016 stilato dall’Istituto Bruno Leoni assegni all’Italia 70 punti su 100 (ben lontana dai 94 punti della Regno Unito, gli 80 della Spagna, i 79 dei Paesi Bassi), dopo due anni il nostro Parlamento non è infatti ancora riuscito ad approvare, il ddl Concorrenza, con la conseguenza che alcuni settori economici restano imbrigliati da inutili vincoli di natura corporativa e attendono una spinta liberalizzatrice che elimini barriere alla vendita per liberalizzare i prezzi.

Ma pesa anche come un macigno la burocrazia (che ci costerebbe, secondo le cifre fornite ieri, il 4% del Pil, al quale va aggiunto l’11% sacrificato sull’altare di una concorrenza insufficiente):  la farragine e linefficienza delle procedure che regolano (si fa per dire) l’interlocuzione con i vari livelli istituzionali rappresenta infatti il principale ostacolo all’attività commerciale e imprenditoriale in Italia.

Solo per fare un esempio, con una media di 608 giorni, l’Italia è al terz’ultimo posto nell’Unione europea per lunghezza dei processi di prima istanza civili e commerciali. Tempi che ovviamente non consentono la rapida definizione dei contenziosi che possono riguardare le imprese e scoraggiano gli investimenti. Chi fa impresa ha infatti necessità di operare in un sistema organizzato con regole certe e condivise, efficiente, semplice e fruibile, che garantisca a tutti le medesime condizioni per competere lealmente in un mercato libero. La mancanza di questi requisiti genera incertezza, ritardi nella definizione delle procedure burocratiche e rischia di alimentare fenomeni di illegalità diffusa.
“L’Italia è un Paese costituito da circa 8 mila comuni e 20 Regioni, ma è indispensabile restituire a imprese e cittadini un quadro normativo di riferimento che sia il più omogeneo possibile. Occorre ridurre i centri decisionali e definire regole comuni, in attesa che si compia un nuovo riordino delle competenze a livello costituzionale”  ha affermato al riguardo Imolesi. “Inoltre si registrano ancora alcuni comportamenti del legislatore nazionale non sempre in linea con le aspettative dei cittadini. È il caso del ddl Concorrenza: se approvato nell’attuale formulazione, rischia di disattendere le richieste formulate dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato in materia di farmaci, carburanti e nel settore delle professioni”.
Al fine di recuperare lo spirito della riforma Bersani, accantonata forse troppo in fretta visto i buoni risultati ottenuti in alcuni servizi, il Rapporto presenta alcune proposte rivolte al legislatore: contrastare programmazioni che selezionino l’offerta alla eliminazione dei vincoli nei nuovi mercati di interesse per la distribuzione commerciale; uniformare la normativa settoriale in tutto il Paese; rivedere il ruolo e le funzioni di Comuni e Province; ripristinare le soglie dimensionali dei punti di vendita definite dalla riforma Bersani e, infine,  semplificare le procedure che autorizzano l’insediamento di medie e grandi strutture della moderna distribuzione.

“Raggiungere questi obiettivi – ha concluso Imolesipermetterebbe al Paese di innovare e migliorare la propria efficienza, condizioni indispensabili anche per la modernizzazione e la crescita del commercio.”

Farmaci “liberi”: 36 milioni di risparmio

Uno dei terreni su cui far ripartire le liberalizzazioni è l’apertura del mercato dei farmaci di fascia C. “Liberalizzare i mercati ancora protetti e sgravare Italia da vincoli di natura corporativa crea lavoro e aumenta i consumi”, spiega l’amministratore delegato di Conad Francesco Pugliese. La misura, presente in una prima versione del Dll Concorrenza 2015, venne cancellata dall’attuale disegno di legge che attende ancora dopo due anni la prova dell’Aula di Palazzo Madama.

“Le farmacie, da anni osteggiano la liberalizzazione della vendita dei farmaci di fascia C – ha spiegato Pugliese – ma hanno acconsentito a che il Ddl Concorrenza aprisse all’ingresso dei capitali nelle proprietà, che comporterà il nascere di catene di farmacie. Queste nuove realtà minacceranno l’esistenza delle piccole farmacie, ma Federfarma finge di non saperlo, continuando a fare la guerra alle parafarmacie, che detengono solo una piccola quota di mercato”.

L’Italia – si legge nel Rapporto – è il 4° paese europeo per spesa farmaceutica dopo Germania, Francia e Regno Unito. La spesa annua pro capite per medicinali di autocura è però di 41,2 euro contro i 65,4 euro della media Ue. Nel 2015 i medicinali senza obbligo di prescrizione (Sop) – la cui vendita è stata liberalizzata  nel 2006 – hanno sviluppato un giro d’affari di circa 2.504 milioni di euro per 304 milioni di confezioni vendute, mentre i farmaci con ricetta mostrano vendite a valore pari a 15.019 milioni di euro e 1.562 milioni di unità (fonte: Assosalute). La liberalizzazione, per quanto parziale, ha comunque sortito i suoi effetti e consentito ai consumatori di risparmiare ogni anno una cifra importante. Tra il 2005 e il 2013 i prezzi dei medicinali Sop hanno registrato un aumento del 12%. Negli otto anni antecedenti alla riforma Bersani (1997-2005) l’incremento era stato del 35%.

Nel 2015 il prezzo medio praticato dai corner Gdo sui medicinali Sop è stato di 6,1 euro, più basso di quasi il 30% di quello praticato in farmacia, per le parafarmacie la differenza scende a circa il 9%. Ammonta a 36 milioni di euro il risparmio ottenuto dalle famiglie italiane nel 2015 grazie all’acquisto di medicinali fuori dal canale farmacia.

La petizione per la fascia C

Per sostenere la liberalizzazione dei farmaci di fascia C, quelli pagati interamente dal cittadino ma acquistabili solo dietro prescrizione medica, Conad ha rilanciato la campagna Liberalizziamoci, una petizione che ha già raccolto 170mila firme e punta a far pressione affinchè governo e Parlamento tornino a legiferare in favore del cittadino-consumatore. Spiegano da Conad: “Se l’acquisto di queste specialità – antinfiammatori, antidolorifici, ansiolitici, anticoncezionali, per citare le categorie più comuni – passasse anche per il canale parafarmacia, come già avviene per Sop e Otc, si otterrebbe un risparmio annuo che va dai 450 agli 890 milioni di euro”.

Le maglie strette dei carburanti

L’altro terreno di “battaglia” per rilanciare le liberalizzazioni e aprire il mercato alla concorrenza, favorendo così prezzi più bassi, è quello della distribuzione dei carburanti. Come rileva un recente studio dell’Istituto Bruno Leoni, quello dei carburanti è uno dei comparti più chiusi dell’economia italiana, l’ultimo, per grado di apertura, tra gli equivalenti europei. La rete distributiva attuale, prodotto di una politica di aperture incontrollata praticata dalle insegne petrolifere, risulta obsoleta, numerosa e poco efficiente, saldamente in mano a pochi operatori. Il deficit di concorrenza che blocca lo sviluppo del settore è evidente: quasi il 90% della rete fa capo alle maggiori compagnie petrolifere, che controllano tutte le fasi critiche della filiera: dalla raffinazione alla logistica, fino alla distribuzione.

Una risposta efficace potrebbe venire dalle cosiddette pompe bianche se però il legislatore – centrale e regionale – smettesse di porrre degli ostacoli alle aperture. A fine 2016 erano attive 143 le stazioni di rifornimento a marchio Gdo in Italia – di cui 35 a marchio Conad –, distribuite prevalentemente al Centro-Nord e con la Lombardia che conta da sola il 26% di queste pompe.

Nonostante ciò la Gdo non in co-branding è in grado in Italia di operare con prezzi inferiori da 9 a 13 centesimi al litro rispetto ai distributori “colorati”. Se il ritmo di aperture seguisse il trend attuale si stima che da qui al 2025, con sole 350 le pompe, la Gdo sarebbe in grado di garantire un risparmio per la collettività di 204 milioni di euro.

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Capo Redattore