Perché è importante che il caffè costi di più
Il prezzo “psicologico” di 1 euro ha conseguenze negative su tutta la filiera e si ripercuote anche sul consumatore finale
di Simone Pazzano
Ultima Modifica: 30/09/2022
Conosciamo davvero il gusto di un buon caffè? Siamo consapevoli di tutto il lavoro e i passaggi che sono dietro e “dentro” la tazzina di espresso che beviamo? Fatte le dovute eccezioni, in linea generale la risposta a queste domande purtroppo è no. E questo innesca un circolo vizioso che danneggia tutti: un boomerang che colpisce esercenti e consumatori.
Da tempo i diversi attori della filiera del caffè sostengono la necessità di andare oltre il prezzo psicologico di 1 euro a tazzina. L’Italia è infatti uno dei paesi europei con il prezzo più basso. Un messaggio che è certamente ancor più difficile da far passare in tempi di rincari diffusi, ma siamo di fronte a una “battaglia” importante sia per il bene del settore che per quello del consumatore. Come sostiene Davide Cobelli, coordinatore nazionale di SCA Italy (Specialty Coffee Association), i problemi si riflettono infatti sul punto vendita – ovvero i bar – sui produttori e su di noi che ogni giorno beviamo caffè di scarsa qualità.
Bar, produttori e consumatori: tutti penalizzati
“Pagare un caffè 1 euro o poco più significa non garantire al titolare del bar l’adeguato rientro economico, quello che gli permette di pagare il personale, per esempio. – sottolinea Davide Cobelli – Così è spesso costretto a prendere personale in nero o precario. Pensiamo che molti baristi vengono sottopagati, anche perché il loro titolare non riesce a marginare abbastanza per potersi permettere la forza lavoro, che in Italia ha un costo elevato”.
Ma, come detto, le conseguenze toccano anche il consumatore. Il risparmio ha infatti un “caro prezzo” sotto altri aspetti, come precisa Cobelli: “Comprare un caffè a basso costo implica che la materia prima sia costata molto molto poco, questo si traduce in chicchi di caffè molto difettati, con muffa e marciume. Pensate a un succo di frutta fatto con frutta marcia, lo berreste pagandolo anche 3 euro?”
Il coordinatore di Sca Italy rincara la dose, sottolineando una serie di problematiche sempre più diffuse e facili da riscontrare nel consumo quotidiano: “Il caffè di bassa qualità, quello usato per i caffè venduti al banco a poco prezzo, produce una forte acidità di stomaco e altri problemi intestinali, oltre ad avere un forte dose di caffeina ed essere sgradevole al gusto”. Ecco perché spesso si rende necessaria l’aggiunta dello zucchero, che a fronte di una miscela di qualità non sarebbe indispensabile.
Secondo le parole di Cobelli, la filiera vive dunque a ritroso a causa dell’ultimo anello, ovvero il consumatore finale: “Se questo decide che il valore del caffè deve essere basso, andrà ad impattare quasi del tutto sul primo anello che è il produttore dall’altra parte del mondo, che si ritroverà a vendere il suo caffè raccolto a prezzi al di sotto del costo per produrlo”. Questo rende più facile, purtroppo, il verificarsi di situazioni di impoverimento e sfruttamento. “Come è successo negli ultimi 50 anni in quasi tutti i Paesi produttori”, sottolinea Cobelli che aggiunge: “Storie di famiglie che mandano in giro i bambini per strada scalzi, senza scolarizzazione, dove se riescono ad andare a scuola non hanno né matite né quaderni. Pagare il giusto prezzo significa dare dignità e rispetto a persone come noi, esigere qualità serve per dare loro un futuro. È brutto credere che il consumatore italiano voglia pagare un caffè il meno possibile, sapendo queste cose”.
Una tradizione decantata, ma da riscoprire
Eppure l’Italia si sente un po’ la patria dell’espresso. Al pari di altri grandi classici come la pizza o l’aperitivo, il caffè è considerato un vanto a livello internazionale. Ma come consumatori siamo davvero così preparati e consapevoli del prodotto che beviamo? “L’Italia rimane un polo importantissimo per il caffè e per l’espresso in particolare, – afferma Davide Cobelli – la nostra tradizione è un fattore da tenere in considerazione, ma se dicessi che prima degli anni 60 in Italia si beveva un caffè di gran lunga più buono di adesso? La materia prima era quasi sempre 100% arabica del Brasile e non di bassa qualità come è molto spesso oggi”. Senza dimenticare che, purtroppo, quando entriamo in un bar e chiediamo un caffè non ci viene mai chiesto quale. Mentre quando si tratta di altri prodotti, come vino e birra per esempio, siamo molto attenti nella scelta. Attualmente il caffè è dunque più un collante sociale, un momento di convivialità, che è un’esperienza di gusto.
Secondo il coordinatore di SCA Italy il nostro Paese avrebbe molto da dire sul caffè, ma ha solo dimenticato tutto per 40 anni: “Oggi vorremmo far tornare la memoria alle nuove generazioni e dar loro modo di apprezzare il caffè anche in diverse declinazioni come i caffè filtrati, che sono degli infusi di qualità straordinaria, quando si usa una materia prima Specialty. Stimoliamo gli italiani ad uscire dalla logica del ‘sappiamo fare tutto noi’, ripartendo da capo e cercando di conoscere davvero il caffè e questo anche grazie alla formazione o ai tantissimi seminari che SCA Italy tiene ovunque sul territorio grazie ai Soci e ai Trainer Ufficiali”.
Nel mondo vengono coltivate infatti numerosissime tipologie di caffè, varietà che differiscono tra loro per molti elementi, quali il paese d’origine, i metodi di lavorazione, il tipo di tostatura e di estrazione e da cui dipende il gusto e la consistenza. E un cliente informato, educato a quello che è il gusto di un caffè buono e di qualità, diventa un consumatore più esigente e più consapevole del valore economico del prodotto che sta gustando e dell’impatto che ha su tutto il settore. “Il costo per produrre una tazzina di caffè è superiore rispetto al costo per produrre una bottiglietta d’acqua, eppure l’acqua al bar viene venduta a 1,50 euro senza che questo generi scalpore presso i consumatori”, ha sottolineato Davide Cobelli nel corso del World of Coffee 2022, che si è tenuto a Milano a giugno.
L’importanza della formazione
Come superare dunque questa situazione? Formazione e informazione possono fare molto per migliorare il quadro dell’intero settore. “Bisognerebbe partire proprio da bar e baristi: in Italia abbiamo 150.000 bar, con una media di 2 baristi ciascuno. Ci sono 300.000 figure professionali di cui solo una piccola percentuale è minimamente formata, forse il 10-15%, e una esigua percentuale è adeguatamente formata (2-3%). Come SCA abbiamo percorsi formativi che sono tra i più completi al mondo, perché il compito di un professionista dovrebbe essere quello di formarsi, come in tutti i settori”.
Che la formazione sia cruciale per la filiera, lo sostiene anche Luigi Morello, presidente dell’Istituto Espresso Italiano, che durante il World of Coffe 2022 ha sottolineato come i 25 secondi necessari alla preparazione di un caffè possono rovinare tutto il lavoro fatto in precedenza: “Non è come il vino, non basta stappare. – ha dichiarato – Il caffè è un prodotto che deve essere lavorato. Tutti elementi questi che hanno un costo, che non può essere compresso e svilito all’interno di 1 euro a tazzina”.
Formazione dunque per gli attori della filiera, ma anche informazione per il cliente finale. Comunicare maggiormente il prodotto e le sue diversità, raccontando tutte le fasi della filiera, e quindi perché è necessario un costo più elevato, può essere la soluzione per sostenere un settore che a lungo andare rischia di risultare sempre più impoverito.
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