Piemonte, un insieme di storia, vigneti, re, contee e santi
di Informacibo
Ultima Modifica: 17/03/2022
Il territorio del Piemonte, occupato nell’Alto Medioevo prima dai Longobardi poi dai Franchi, nei secoli si frazionò in contee, ducati e marchesati. A partire dal XV secolo la storia del Piemonte entrò a far parte del Ducato dei Savoia per divenire Stato Sabaudo a metà del 1700. La regione, che va dalle Alpi al Lago Maggiore, ha alle spalle tale catena montuosa da sentirsi protetta dai venti freddi del nord e, contemporaneamente, nella stagione calda, beneficia della brezza dei ghiacciai che portano frescura notturna e ventilazione ai vigneti, creando una conformazione collinare da sempre vocata alla viticoltura ed una ricchezza di suolo tale da produrre vini di eccellenza conosciuti sia nei mercati nazionali che internazionali.
La produzione vitivinicola del Piemonte è tutelata da ben 11 Docg e 45 Doc originate da una ventina di vitigni autoctoni. Questo territorio attira annualmente centinaia di migliaia di turisti del vino e della enogastronomia. Una preziosa realtà sono le Botteghe del Vino, le Cantine Comunali e le Enoteche Regionali la cui importanza si può rilevare dalla maestosità dei Castelli e delle Dimore Storiche in cui hanno sede, dalle quali svolgono una intensa attività di valorizzazione della vitivinicoltura. E’ un mondo produttivo di grande tradizione che ha radici lontane, fino ai legami fra Greci e Liguri che vi portarono l’arte di coltivare la vite e di produrre il vino.
Non abbiamo la pretesa di parlare di tutti i vini, ne abbiamo scelto uno, storico, il Nebbiolo. I primi documenti che riguardano questa produzione vinicola nel feudo di Albugnano-Vezzolano risalgono al 1148 quando l’Abbazia passò sotto la protezione del papato. Lo stemma della Signoria è ancora visibile sopra l’altare, uno scudo rosso gigliato d’oro. La Signoria di Vezzolano sul paese di Albugnano durò fino al 1800, quando venne soppressa dal governo napoleonico. La viticoltura ha, sin da allora, avuto grande incremento e sviluppo tanto da mettere in condizione i monaci, dopo la devastazione delle orde barbariche, di fornire ai paesi vicini tralci di vite per reimpiantare i vitigni distrutti. Un altro documento datato 1327 conferma la laboriosa attività vitivinicola vissuta su queste colline. Ancora, i catasti del Comune di Chieri, allora potente città medioevale, risalenti al 1311 testimoniano che i terreni del circondario erano destinati per il 59% al seminativo, per l’11% alla praticoltura, altrettanti alla silvicoltura, il resto a vigneto di cui una percentuale a Nebbiolo. Tale vitigno “lodato e che risulta altamente vinoso” godeva di particolari privilegi rispetto agli altri, tanto che, con una particolare dispensa, era consentita la libera contrattazione e la possibilità di sorvegliare queste vigne di notte.
Alcuni secoli dopo, nel 1600, introdotto dal Duca di Savoia Maurizio Eugenio, abate di Vezzolano, il Chiaretto di Nebbiolo delle colline di Albugnano divenne il vino preferito presso la corte dei Savoia e presso l’aristocrazia piemontese. Il trasporto del vino prodotto nel feudo veniva effettuato sulla strada Vezzolano-Pogliano-Moncucco-Torino, come evidenziato da uno scritto dove si rileva che a un boaro, certo Stefano Barbero di Albugnano, era stata assegnata una coppia di buoi per ”effettuare la condotta dei Nebbioli”. Il vitigno continuò a diffondersi fino ad essere considerato tra le uve pregiate della zona. Nel 1868, il Nebbiolo spumante di Albugnano venne premiato in occasione dell’Esposizione Italiana e Fiera di vermouth, liquori, spiriti, tenuta dal Comizio Agrario del circondario di Asti.
Nonostante le difficoltà gravate sulla viticoltura nei successivi cento anni e all’esodo dei giovani dalla campagna dopo la seconda guerra mondale attratti dalle industrie, la coltura dei vigneti ha continuato ad esistere e migliorare, grazie alla passione delle generazioni più anziane. Ora tutto questo è superato ed è sorto un nuovo importante interesse per la viticoltura.
Il nome Nebbiolo crea curiosità e dubbi: per alcuni potrebbe derivare da “nebbia”, in quanto gli acini sono ricoperti da abbondante pruina o dal fatto che si tratta di un’uva vendemmiata in ottobre avanzato quando umidità e nebbie spadroneggiano, per altri deriverebbe da “nobile” per la sua grande generosità e gagliardia. Il vino Albugnano Doc è prodotto con uve Nebbiolo per l’85%. Viene prodotto nelle versioni rosso, rosato e superiore. Il Nebbiolo d’Alba Doc è prodotto con uve Nebbiolo al 100% in un ampio territorio fra Langhe e Roero; è un vino di grande pregio, dal colore rosso granato e dal sapore secco, mentre i profumi ricordano sentori floreali come la viola.
Da Albugnano a Chieri è un succedersi di abbazie, basiliche, vigneti, musei e ricordo di santi. Infatti il territorio, sereno e suggestivo per l’estensione e la dolcezza delle sue colline, ha dato i natali a due santi, Don Giovanni Bosco, fondatore dell’ordine salesiano e Don Giuseppe Cafasso, che professò il suo ministero tra poveri e carcerati. Chieri ha una storia antichissima: già Plinio la menzionava con il nome di Carea Potentia, da cui successivamente Carium e, nell’alto Medioevo Cherium. Ha molte vestigia dell’epoca, ma il monumento che la caratterizza è l’Arco che, dedicato nel 1580 a Emanuele Filiberto, divide l’animatissima via Vittorio Emanuele. La sua fama è dovuta, oltre che ai grissini “robatà” ed alle deliziose sfoglie a ventaglietto da acquistare nella pasticceria Basilio, proprio sotto l’arco, al rinomato vino Freisa. Nei pressi, a Pessione, è visitabile lo stabilimento della Martini e Rossi, il colosso del vermouth, famoso in tutto il mondo. Nella parte più antica dello stabilimento, in una suggestiva cantina, è possibile ammirare il Museo di Storia dell’Enologia, dove sono poste in visione le vicende legate al vino dal IV secolo avanti Cristo ai giorni nostri.
Il Freisa occupa un posto di rilievo nel cuore della gente: viene particolarmente amato per il colore rosso vivacissimo, spesso mosso da una gradevole vena frizzante che sprigiona un profumato aroma. Se decenni addietro è stato apprezzato nel tipo “amabile” da bersi nel momento del dessert, ora si è adeguato alle attuali consuetudini alimentari ed è comparso nella versione “secco” per accompagnare carni bianche in umido, pane e salame, ossibuchi, coniglio con polenta.
Condividi L'Articolo
L'Autore