L’oro rosso d’Abruzzo celebrato dalle delegazioni abruzzesi dell’Accademia Italiana della Cucina
Il racconto di Informacibo: celebrazione gastronomica, storica, ambientale e culturale per un prodotto icona dell'eccellenza abruzzese in un'ottica di rilancio del territorio e di un'econonomia sostenibile
di Collaboratori
Ultima Modifica: 29/02/2020
Un elisir di benessere a tutto tondo, lo zafferano abruzzese, ovvero il purissimo zafferano dell’Aquila. Potente antiage, antiossidante, antidepressivo, rivitalizzante delle cellule e del sistema nervoso, afrodisiaco naturale, sapida spezia, raffinata come poche nel personalizzare un intero menu dall’aperitivo al dolce, pane compreso.
Delle mille virtù dello zafferano (Crocus sativus) non si dirà mai abbastanza, lo conferma la più avanzata ricerca scientifica impegnata a carpirne segreti e proprietà che ne fanno un efficace atout in campo medico, nutrizionale, cosmetico.
Lo Zafferano dell’Altopiano di Navelli riconosciuto dal 2005 come area Dop
Una storia antica che arriva da lontano, sapienze tramandate nei secoli, la fortuna di trovare l’habitat più vocato nella conca sull’aquilano, l’Altopiano di Navelli riconosciuto dal 2005 come area Dop contando tredici comuni e oltre ottanta produttori certificati.
Il rito della coltivazione raccolta e lavorazione esclusivamente manuali, il colore sensuale dei petali, viola fucsia, il rosso porpora dei pistilli, impalpabili, eterei al tocco, l’aroma intenso e penetrante, l’esuberanza in cucina.
Tutto concorre a fare dello zafferano dell’Aquila un tesoro che non conosce pari al mondo. Inutile ogni tentativo di riproduzione, necessaria la giusta informazione, conoscerne le caratteristiche originarie che lo rendono unico e inimitabile.
“Il marchio Dop” -sottolinea Massimiliano D’Innocenzo presidente del consorzio- “assicura l’assoluta purezza e qualità del prodotto coltivato sull’Altopiano di Navelli e nella media Valle dell’Aterno”.
All’oro d’Abruzzo, l’Accademia Italiana della Cucina ha dedicato la dovuta attenzione con la Conviaviale ecumenica regionale organizzata il 21 febbraio scorso dalle nove delegazioni abruzzesi in nove diverse località della regione. Celebrazione gastronomica, storica, ambientale e culturale, occasione per ri-scoprire un prodotto icona dell’eccellenza abruzzese in un’ottica di rilancio del territorio e di un’econonomia sostenibile.
La testata Informacibo è stato ospite della conviviale pescarese organizzata dal delegato Giuseppe Fioritoni al clubino del ristorante Sea River, simposiarca Licio Pardi.
Un racconto a più voci: la poesia fotografica di Luciano D’Angelo autore di un lavoro iconografico ancora oggi esclusivo sull’argomento, “Zafferano Zaafran“; la testimonianza di una piccola produttrice aquilana, Serena Di Battista, impegnata con la sua famiglia nelle coltivazioni tipiche del territorio ai piedi del Gran Sasso aquilano.
Lenticchie, cicerchie, grano, olivo e zafferano, base della cucina proposta nell’agriturismo di proprietà a Ofena; i manicaretti a tema (su tutti i ravioli allo zafferano farciti di stracciata di bufala e ricotta di pecora) opera di Livia Di Battista (sorella di Serena) in tandem con lo staff del SeaRiver.
Lo Zafferano ha svolto un ruolo fondamentale nell’economia dell’Abruzzo
Simbolo del bacino mediterraneo e delle sue tradizioni, lo zafferano (dal latino safranum, dall’arabo Zaferan) è riconosciuto come prodotto di nicchia dal fortissimo valore identitario, si è sottolineato. Prima di essere diffuso nell’impiego alimentare la preziosa spezia ha avuto un ruolo fondamentale nell’economia dell’Abruzzo medievale e moderno. Valore di scambio, medicamento pressochè universale, tintura naturale, le cronache raccontano di un artigianato potentissimo nella lavorazione della materia prime e di un mercato già allora internazionale.
150mila fiori per ottenere un chilogrammo di zafferano
Qualche dato utile. Occorrono gli stigmi di almeno 150mila fiori per ottenere un chilogrammo di zafferano. La produzione attuale dello zafferano dell’Aquila si attesta attualmente sui 20 kg certificati dopo i minimi storici toccati negli anni passati. Il rischio di estinzione è superato ma la produzione regionale va incoraggiata. L’altitudine ideale è in alta collina-media montagna, non oltre i mille metri slm nè al di sotto dei 350 metri. Per le sue molteplici peculiarità lo zafferano rappresenta un potenziale economico, turistico e culturale del territorio, oltre che prezioso alleato della salute. E come tale andrebbe sfruttato.
Lo zafferano puro è una fonte inesauribile di carotenoidi (circa mille volte più della carota!), una miniera di vitamine A, B1 e B2: l’ideale è usarlo puro in fili – verosimilmente una quindicina a porzione- per trarne il massimo beneficio. Va estratto nel liquido, preferibilmente nel latte, bene anche acqua o brodi purchè, in ogni caso, la temperatura non superi i 50°C.
Lo zafferano purissimo è più aroma che colore, racconta l’imprenditrice e sommelier aquilana Serenella Di Battista. In che misura impiegarlo dipenderà dall’effetto che si vuole ottenere e da quanto il prodotto a cui si accosta può contrastare. Raccomandabile sempre la ricerca dell’equilibrio delle componenti organolettiche: preferire l’armonia all’effetto.
Il culmine dell’aroma lo si raggiunge nei mesi di ottobre – novembre
Tempo balsamico: il culmine dell’aroma si raggiunge a qualche mese dalla raccolta (ottobre-novembre); se conservato correttamente – all’asciutto, ben chiuso in vetro, al fresco e al buio – la durata può arrivare fino a quattro anni ma non è certo consigliabile attendere così a lungo.
Tra tutti i cibi che incontra – le ricette della tradizione aquilana sono davvero una miniera da riportare alla luce: sarà sfatato un mito, il risotto alla milanese! – lo zafferano meglio esalta i piatti a base di cereali, in modo particolare di pesce, un connubio tutto da incentivare.
Abbinamento vini: consigliati quelli a forte persistenza aromatica, Traminer, Chardonnay, Sauvignon
“Ero in Marocco per fotografare la Zaafran Valley e una guida berbera disse di conoscere l’Abruzzo perché era la terra dello zafferano dell’Aquila” ha ricordato il mago della fotografia Luciano D’Angelo commentando le immagini del suo lungo lavoro iconografico. Nei suoi scatti si ritrova la passione, il sacrificio e il lavoro di uomini e donne abruzzesi, contadini di montagna, piegati sui solchi di terra per la semina dei bulbi, lo spettacolo magico della fioritura, la raccolta, solo manuale, fatta di primo mattino, quando le corolle dei crochi si presentano umidi e quasi chiusi. Più tardi, al calore del camino, la fase della tostatura. Che deve essere sapiente, da essa dipenderà la qualità dello zafferano. Gli stimmi posti sul setaccio sopra una brace di legno di quercia o di mandorlo, e solo l’abilità data dall’esperienza potrà dire quando è il momento giusto per toglierli dal calore del fuoco. La poesia di un Abruzzo che resiste.
“Stiamo tramandando quello che qualcuno ci ha lasciato, conserviamo territori che oggi altrimenti sarebbero selva. Siamo dei privilegiati e non eroi di montagna” aggiunge Serenella Di Battista. “Il clima che cambia, l’inverno senza piogge e senza neve uccide le coltivazioni, tante malattie finora evitate grazie alla naturale escursione termica dei nostri posti ora trovano le piante indebolite. Lo stesso accade alle difese immunitarie di una persona” considera la produttrice, “se stressata si indebolisce e poi si ammala. Siamo preoccupati per mille motivi, anche gli olivi hanno avuto problemi e i mandorli sono già fioriti...”
A cura di Jolanda Ferrara
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