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“La Cucina Piacentina”: un libro racconta l’identità gastronomica piacentina

di Informacibo

Ultima Modifica: 13/12/2016

La Cucina Piacentina. Storie e ricette”: si intitola così l’ultimo libro della collana “Cucine del territorio” ideata da Franco Muzzio, che rappresenta, con oltre 40 volumi, l’opera più vasta e dettagliata dedicata alle declinazioni locali della cucina italiana.

La distinzione non avviene, come consuetudine, su base regionale bensì su base provinciale: l’indagine riguarda il sentire gastronomico identificativo di una gente, di una terra, con una tradizione fatta di regole che determinano la preparazione dei piatti e di riti che regolano il loro impiego e le occasioni di consumo. 

Edito da O·R·M·E | Tarka, “La Cucina Piacentina. Storie e ricette” (pagine 256, euro 16) è curato da Andrea Sinigaglia e Marino Marini. Piacentino di adozione, una laurea alla Cattolica di Milano, un Master in Storia della Cultura e dell’Alimentazione all’Università degli Studi di Bologna, nel 2004 Andrea Sinigaglia entra in ALMA – La Scuola Internazionale di Cucina Italiana come docente di storia e cultura della cucina italiana: oggi ne è il Direttore Generale. Responsabile della biblioteca di ALMA, la più ampia in Italia (con i suoi 13.000 volumi) tra quelle specializzate in ambito gastronomico, è invece Marino Marini, cuoco, giornalista e critico gastronomico: Marini, che nel 2010 con il libro “La Gola” ha conquistato il Premio Bancarella della Cucina, è stato tra i fondatori e tra gli animatori del movimento Slow Food, per cui ha ideato nel 1990 la Guida “Osterie d’Italia”. 

Tra i libri finalisti della XI edizione del Premio Bancarella della Cucina, “La Cucina Piacentina. Storie e ricette” non è una semplice raccolta di ricette della cucina piacentina. Piuttosto, lo si può considerare un’espressione d’amore per un territorio, con la sua gente, i suoi talenti, la sua cultura, che, combinandosi insieme, hanno saputo dare vita a sapori ed emozioni unici.
L’introduzione del libro è molto originale: un abbecedario piacentino, dove convivono termini dialettali sia gastronomici – come, ad esempio, chizzöla, la schiacciata con i ciccioli – sia extra-cucina, come ad esempio, fasôlon, a indicare una persona poco scaltra e impacciata. “La Cucina Piacentina” dedica poi uno spazio rilevante alla storia, con i suoi personaggi e alcuni aneddoti. Come quello relativo alla visita a Piacenza del Petrarca nell’estate del 1351: per omaggiare il poeta, di passaggio al castello di Vigolzone per salutare un amico, gli furono offerti tortelli ripieni di ricotta ed erbette, poi diventati per antonomasia “Tortelli del Petrarca”. Per quanto riguarda l’ambito della pasticceria, è interessante sapere che la corte della Duchessa Maria Luigia d’Asburgo portò – nella prima metà dell’Ottocento – una ventata di freschezza e novità: i suoi maestri pasticceri fecero conoscere ai piacentini specialità come i chifàr, ancora oggi presenza immancabile nella colazione di tanti cittadini. 
Un’ampia sezione del libro è poi dedicata ai prodotti tipici: la provincia piacentina può contare su sei prodotti DOP, quattro prodotti IGP, un presidio Slow Food (la mariola, salume preparato con l’intestino cieco del maiale) e ben 102 prodotti agroalimentari tradizionali. Si spazia da grandi salumi, come il cappello del prete (simile al cotechino per l’impasto, ma diverso per l’insacco), a formaggi come il Grana Padano e la Ribiola della Bettola, passando per i pomodori piacentini e per vini come la Malvasia Bianca di Candia e l’Ortrugo.

Imperdibile è anche il capitolo dedicato alle antiche osterie piacentine e alla ristorazione moderna, che ha avuto nello chef francese ma trapiantato a Piacenza Georges Cogny (scomparso nel 2006) il suo grande nume tutelare: a Cogny, che ha avuto anche il merito di essere il maestro di grandi chef come Massimo Bottura, Filippo Chiappini Dattilo e Isa Mazzocchi, è legata la parabola di successo di ristoranti come “Locanda Cantoniera” e “L’Antica Osteria del Teatro”.
Molto ricco, infine, è il ricettario piacentino. Tra le tantissime ricette proposte dai due autori Sinigaglia e Marini, almeno tre meritano una citazione: la bomba di riso, a base di piccione; i tortelli con la codapisarei (gnocchetti di pangrattato e farina tirati a mano) e fasô (fagioli), che, insieme, si trasformano in una zuppa energetica. Quest’ultimo è un piatto della cucina povera tradizionale: in passato, quando un giovane presentava alla propria famiglia la fidanzata, la madre controllava il pollice destro dell’aspirante sposa, per verificarne la presenza di calli, “segno” tangibile della capacità di preparare i pisarei.

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Capo Redattore