Industria alimentare, il Sud cresce e sorpassa per fatturato il Nord
Il dato emerge da un’indagine Ismea sul settore: il giro di affari registra una crescita negli ultimi tre anni più alta nelle aziende meridionali (+5,4%) rispetto a quelle del Centro-Nord (+4,4%).
di Vito de Ceglia
Ultima Modifica: 15/04/2019
Quattro filiere alimentari su dieci nel Sud hanno una redditività molto più elevata rispetto alla media nazionale e rispetto al Centro-Nord: prodotti da forno, caffè e cioccolato, gastronomia e vino. Sei filiere su dieci – se si includono latte e formaggi, più olio – presentano comunque una redditività maggiore rispetto al Centro-Nord. Che vince nelle restanti quattro filiere: pasta, riso e farine (l’unica che presenta margini superiori alla media nazionale); conserve vegetali, ittica, salumi e carne.
E’ lo spaccato inedito sulla competivitià dell’industria alimentare del Mezzogiorno che emerge dallo studio realizzato dall’Ismea, in collaborazione con Fiera di Parma e Federalimentare, su 1526 imprese del comparto con un fatturato superiore a 10 milioni di euro e un giro di affari complessivo di 80 miliardi, circa il 58% del fatturato dell’industria alimentare nazionale. Il rapporto premette che, sebbene solo il 23% delle aziende medio-grandi si collochi nel Sud (dove prevale una presenza ancora massiccia di Pmi), i ricavi dell’industria alimentare sono cresciuti negli ultimi tre anni di più nelle imprese meridionali (+5,4%) che in quelle del Centro-Nord (+4,4%).
Le ragioni del “sorpasso”
Nel Mezzogiorno operano complessivamente oltre 344 mila imprese agricole e quasi 34 mila dell’industria alimentare, pari al 18,5% del tessuto imprenditoriale del Sud. Qui lavorano la maggioranza delle aziende di comparti dinamici come quello delle conserve vegetali. E imprese di filiere competitive a livello nazionale come latte e formaggi, vino, salumi e carne. Ci sono anche aziende che ottengono performance molto elevate (e maggiori che nel Centro-Nord) in settori specifici come quelli del caffè, cioccolato e confetteria (+14%), Prodotti da forno (+18%), Olio (+21%).
Lo studio segnala una maggiore incidenza nel Mezzogiorno di imprese medie (50-250 dipendenti), il cui fatturato è cresciuto più della media sia nel Sud (+7,5%) sia nel Centro-Nord (+8,7%). In parallelo, però, fotografa un tessuto produttivo complessivamente debole e frammentato in termini strutturali sia nella componente agricola che in quella dell’industria di trasformazione. L’85% delle imprese ha un fatturato inferiore a 50 milioni di euro (75% nel Centro Nord) e il 41% un numero di dipendenti nella classe 50-250 (36% nel Centro-Nord). La nota positiva è che nel Sud si registra una maggiore incidenza di imprese «più giovani» (con meno di 25 anni di attività), in genere più dinamiche, che hanno realizzato una crescita a due cifre del fatturato (+12% contro il +8% nel Centro-Nord).
Punti di forza e debolezza
Uno degli elementi di competitività delle aziende del Sud è rappresentato dal prodotto made in Italy. Non a caso, il 55% di un campione di imprese intervistato da Ismea prevede nella propria strategia di comunicazione la dicitura “100% italiano”. Dal 2015 al 2018, il mercato dell’Ue è infatti aumentato per oltre il 70% degli intervistati e oltre il 50% delle imprese ha visto aumentare la propria quota di mercato soprattutto grazie alla leva della qualità e del made in Italy. “Difenderlo e valorizzarlo è un obiettivo comune, da Nord a Sud”, puntualizza lo studio. Che conclude: “Permangono, tuttavia, fattori limitanti come il minore grado d’innovazione tecnologica riscontrabile anche dal livello più basso di immobilizzazioni immateriali e finanziarie e la forte dipendenza da fonti esterne di finanziamento che rende difficile l’accesso al credito per ulteriori investimenti”.
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