In alto i calici – brindisi e curiosità
di Ines Roscio Pavia
Ultima Modifica: 18/10/2018
La terra si lavora, si coltiva e il germoglio della vite è sempre lì, tutte le primavere, verde, rampante, pieno di vigore. Ogni suo grappolo sarà un futuro calice di vino.
Ines Roscio Pavia
Da sempre re della tavola, il vino è l’immancabile protagonista di eventi di spicco, ricercato dagli amatori di tutto il mondo capaci di spendere cifre da capogiro per una bottiglia da collezione. Eventi che si snodano da primavera alla vendemmia, scanditi da episodi che si riflettono sulla storia del prodotto da cui emerge la tradizione dei popoli. I vini italiani sono una bandiera nel mondo, vini che hanno saputo creare un trend di elevata qualità e cultura. Vini dai nomi prestigiosi dei quali essere orgogliosi. Ma non trascuriamo l’immagine più modesta del “buon vino”, di quel particolare bicchiere che, da soli o in compagnia, possiamo gustare davanti ad uno scoppiettante focolare, un momento magico e legittimo da dedicare a noi stessi.
Lo scorso settembre a Firenze nel Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio, durante la cerimonia per celebrare i 300 anni della nascita di questo vino, il Chianti Classico DOCG è stato proposto all’Unesco per diventare patrimonio dell’Umanità. Un lungo tracciato: infatti il primo bando di presentazione del Chianti avvenne nel 1716 per opera del Granduca Cosimo III° dei Medici che delimitava i confini del territorio di produzione di questo vino. Tre secoli dopo si è ripetuta la cerimonia con una grande festa, talk show, tavole rotonde, degustazioni, piatti di tradizione e un concerto del Maggio Musicale. Un tripudio godereccio esteso tra Palazzo Vecchio e il Teatro dell’Opera.
Il Chianti è ormai una griffe internazionale, trecento anni di vino prestigioso. Come descrivere un vino di tanto rispetto, conosciuto in tutto il mondo, con un giro di affari da capogiro? Questo vino vanta un meraviglioso equilibrio di aromi e delicatezza. Colore rosso rubino, profumo fruttato intenso, sapore rotondo e morbido dal finale elegante. Prodotto con uve Sangiovese con l’aggiunta di piccole percentuali di Cabernet Sauvignon, Merlot e Syrah. Affinato per dodici mesi in botti di rovere e per otto mesi in bottiglia.
Un briciolo di storia: dal 1924 il Consorzio Vino Chianti mantiene il marchio d’origine simboleggiato dal Gallo Nero. Nel 1932 per distinguere il Chianti originale da quello prodotto all’esterno del territorio delimitato 300 anni fa, venne aggiunta la terminologia “Classico”. Nel 1984 il “Chianti Classico” ha ottenuto la “Denominazione di Origine Controllata e Garantita DOCG”. Ora esiste un accordo di cooperazione fra il Consorzio del Chianti Classico e il Comité des vins de Champagne all’insegna dell’eccellenza enologica. Un percorso che permette a questo nettare di avviare il progetto di candidatura del territorio del Chianti a patrimonio dell’Umanità .
Il Barolo è originario del cuneese ed è uno dei più apprezzati vini italiani, prodotto secondo un metodo di tradizioni e sapienze antiche: non a caso viene considerato il “re dei vini”. Grazie alla caparbietà di Camillo Benso Conte di Cavour e di Giulia Colbert Falletti marchesa di Barolo, a metà 1800 si arrivò a produrre un vino eccezionalmente ricco ed armonioso dal bouquet avvolgente, un grande vino ottenuto da uva Nebbiolo in purezza. Dal 1980 il Barolo si fregia della Docg. Si tratta di un vino eccezionalmente armonioso, ha colore granata pieno e intenso, profumo fruttato e speziato: ricorda i piccoli frutti rossi, le ciliegie sotto spirito, regala sentori di viole e rose, cannella e pepe, noce moscata, vaniglia, cacao, tabacco e cuoio. La chiave del successo è l’invecchiamento che richiede almeno tre anni, di cui un paio in legno di rovere. Dopo cinque anni può ostentare la “Riserva”.
Dalle vinacce del Nebbiolo si ottiene la Grappa al Barolo che dopo almeno tre anni di invecchiamento acquista un colore paglierino e una gradazione alcolica di 45 gradi.
La storia racconta che la marchesa Falletti abbia offerto a Re Carlo Alberto 325 carrà (botti da trasporto) di Barolo: una per ogni giorno dell’anno ad eccezione del periodo quaresimale. Ecco come il Barolo divenne ambasciatore del Piemonte e dell’Italia in tutto il mondo.
Penso alla vigna, alle bitorzolute radici che corrono sotto terra, alle persone che hanno intuito fin dall’inizio che il ceppo, anche se nobilissimo, non poteva bastare. Occorreva un clima buono, la giusta acqua, un terreno particolare, molto lavoro, ma soprattutto molto amore. Tutto questo ha generato e continua a generare ricchezza, cultura, dignità e prestigio. Penso a mani nodose che per secoli hanno seguito la curva dei tralci, intere famiglie affaticate a lavorare a schiena curva, sempre pronte a zappare, potare, collocare germogli e pampini per far sì che la vite possa dare il frutto magico dell’uva: non esiste un grappolo identico ad un altro ed ogni acino è unico. La terra si lavora, si coltiva, ma il germoglio della vite è sempre lì. Tutte le primavere, verde, rampante, pieno di vigore. Il vino ha ed ha avuto e continuerà ad avere il potere di intrecciarsi con l’esistenza dell’uomo, energetico e consolatore; è la bevanda della socievolezza, esalta l’appetito ed è in grado di trasformare un semplice pasto in una festa. E’ un dono che da sempre suscita emozioni, crea occasioni conviviali, appassiona con i suoi colori e profumi. Vivere il vino significa scoprire i luoghi segreti dei viticoltori e le loro cantine sotto una luce diversa. E’ il vino che rende completo il piacere della tavola esaltando il gusto del cibo. Una perfetta armonizzazione tra vino e cibo suscita impressioni e pensieri positivi.
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