Il provocatorio Convegno del gruppo Brazzale: “Made in Italy”? non esiste
di Informacibo
Ultima Modifica: 31/05/2017
Sono stati questi i concetti espressi durante il convegno “Il Made in Italy non esiste. La catena internazionale dei fattori produttivi nella creazione del valore, al tempo di Donald Trump” organizzato durante la recente Fiera milanese di Tuttofood dal Gruppo Brazzale e moderato da Francesco Cancellato, direttore de Linkiesta, che ha visto gli interventi di Giancarlo Corò, professore all’Università Ca Foscari di Venezia, Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni e dell’imprenditore Giorgio Fidenato presidente dell’Associazione Agricoltori Federati.
Il nuovo concetto di Prodotto Italiano, che tiene conto del deficit strutturale nella produzione di materie prime agricole del nostro Paese, ha quattro caratteristiche: è non ingannevole, poiché corrisponde a una più corretta descrizione del processo e del prodotto; è flessibile, cioè si adatta alla infinità possibile varietà della casistica; è moderno, perché applicabile alle nuove forme di combinazione internazionale dei fattori produttivi governabili dagli italiani; è nell’interesse di consumatori e cittadini, perché rafforza la competitività e l’efficienza dell’industria di trasformazione italiana, in Italia e nel mondo.
Spiega Roberto Brazzale, presidente della Brazzale: “Oggi si definisce senza esitazione Made in Italy un formaggio Dop fatto a Vicenza con latte proveniente da vacche a suo tempo acquistate manze gravide in Baviera, nutrite con soia brasiliana, mais americano ed erba medica disidratata spagnola, inseminate artificialmente con tori canadesi, controllate da un podometro israeliano, in una sala di mungitura tedesca, un latte munto da ottimi bergamini pakistani o albanesi, trasportato da un autista bosniaco, cagliato da un casaro moldavo che ha per scottone un ghanese ed usa un caglio danese, formaggio conservato in magazzino da un bangladese. Il tutto sopra un podere concimato con potassio canadese e concimi tedeschi, arato con trattori americani e seminato con ibridi francesi. Perché, invece, una mozzarella filata a Caserta con cagliata proveniente dalla Baviera dovrebbe essere meno italiana? L'italianità non può essere negata ai processi produttivi soltanto perché non utilizzano in tutto o in parte materie prime non realizzate in Italia”.
“Passare alla logica di "Prodotto Italiano" – aggiunge Roberto Brazzale – significa identificare e classificare un prodotto la cui realizzazione coinvolge in misura necessaria e significativa territorio, fattore umano e fattore culturale, in relazione al quale la creazione di valore aggiunto economico sia apprezzabilmente attribuibile e di pertinenza dei cittadini italiani e dell’Italia. L'italian sounding, per esempio, non sarebbe "prodotto italiano" perché difetta della territorialità. Una tunica cinese realizzata a Prato non sarebbe "prodotto italiano" perché difetta del fattore culturale. Una pizza realizzata in USA da un vietnamita non sarebbe "prodotto italiano" perché difetta del coinvolgimento del fattore umano. Possediamo una grandissima abilità e creatività nella trasformazione e lavorazione degli ingredienti, per parte notevole ancora inespressa a causa dell'ostilità verso gli sviluppi resi possibili dall’internazionalizzazione dei cicli produttivi. Oltretutto, il Made in Italy in purezza non esiste. Non può esistere per l'incredibile ampiezza e complessità della catena internazionale degli input dai quali ogni prodotto realizzato nel territorio della Repubblica Italiana è realizzato. Il valore finale del prodotto sarà la somma di una cooperazione involontaria di tutto il pianeta, di infinite frazioni di valore realizzate nei luoghi più disparati del pianeta e convergenti nel prodotto finito che definiamo Made in Italy. Un trattore John Deere comprato e usato nei campi, in Italia, produce valore in Usa e a sua volta è stato realizzato con infiniti input che coinvolgono infiniti luoghi. Un fertilizzante Basf lo produce in Germania. Il gasolio che utilizziamo ogni giorno nei processi di raccolta delle materie prime agricole e di trasformazione, genera ricchezza in Arabia Saudita”.
A conferma della tesi di Brazzale, Giancarlo Corò, professore associato all’Università Ca’ Foscari di Venezia ha mostrato, numeri alla mano, che “il Made in Italy è una gabbia culturale e normativa che blocca il potenziale di espansione dell'industria agroalimentare italiana. Tanto che, oggi, esportiamo prodotti agroalimentari per 30 miliardi di euro e ne importiamo per ben 29”. E ha aggiunto: “Il tanto vituperato Italian sounding è oggi uno straordinario veicolo di promozione dell’Italia e dei suoi prodotti. Intercettare quei processi e sfruttarli è un’occasione che ci stiamo lasciando sfuggire”.
Alberto Mingardi, direttore dell’Istituto Bruno Leoni ha analizzato il tema spiegando come, solo attraverso lo scambio, si ibridino i prodotti e si possa aumentare la crescita. "Il Made in Italy in purezza è fenomeno al contempo di marketing e di integralismo. Tutti i prodotti, da sempre, sono frutto di una storia promiscua. Per questo il loro valore non risiede e non può risiedere nella mera prossimità. Più persone partecipano alla divisione del lavoro e più è facile che ci sia innovazione e progresso”.
Giorgio Fidenato ha analizzato il tema sotto il profilo dell’agricoltura, partendo da due presupposti: la necessità assoluta della più ampia libertà di scambio, senza la quale non vi sarebbe possibilità di vendere all’estero i prodotti italiani, e l’obbligo di importare materie prime agricole per le quali l’Italia non è autosufficiente. Sul tema degli Ogm e, in generale, dello sviluppo dell’agricoltura, infine, Fidenato ha commentato con rammarico: “L’agricoltura italiana è stata sempre aperta, in passato, alle innovazioni tecnologiche e ne ha tratto grandi vantaggi, mentre i sussidi e i contributi rappresentano il maggiore freno allo sviluppo”.
Notizie sul gruppo Brazzale Spa
Attiva nel mondo del latte già dal 1784, Brazzale Spa con Roberto Brazzale , presidente del Gruppo, è originaria dell’Altopiano di Asiago, in attività ininterrotta da ben otto generazioni. Oggi il gruppo vanta sei stabilimenti produttivi sparsi in tutto il mondo, in Italia, Repubblica Ceca, Brasile e Cina e impiega complessivamente oltre 600 dipendenti, per un fatturato complessivo, nel 2015, pari a circa 150 milioni di euro, di cui oltre un terzo esportato dall’Italia nel mondo. Opera sul mercato con i marchi: Burro delle Alpi, Burro Fratelli Brazzale, Zogi, Verena, Alpilatte, Brazzale, Silvipastoril e Gran Moravia. Dal 2003, a Litovel, in Moravia (Repubblica Ceca), produce il formaggio Gran Moravia, stagionato in Italia. A Zanè (Vi), dal 1898, il Gruppo ha la sede principale ed il burrificio Burro delle Alpi. A seguito della fusione con la famiglia Zaupa, a Monte di Malo (Vi) realizza provoloni, Provolone Valpadana DOP, paste filate e pressate, Asiago DOP. Tutti i prodotti del caseificio di Litovel vengono prodotti con il latte della Filiera Ecosostenibile Brazzale, che nel 2011 ha ottenuto la certificazione di tracciabilità secondo le norme UNI EN ISO 22005:2008. Sempre in Repubblica Ceca, Brazzale ha realizzato la catena di negozi propri con insegna La Formaggeria Gran Moravia, che oggi conta 19 punti vendita, più di 120 commessi, per oltre 1.500.000 clienti all’anno, con l’80% del venduto importato dall’Italia. Nel 2012 ha creato a Shanghai una propria unità commerciale e, nel novembre dell’anno successivo, ha aperto un punto vendita sempre a marchio La Formaggeria Gran Moravia. Nel 2014, a Pechino, Brazzale ha sviluppato un caseificio di formaggi freschi per il mercato locale.
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