Il ministro alle Politiche agricole Mario Catania al Corriere della Sera:
di Informacibo
Ultima Modifica: 05/10/2012
Roma 4 ottobre 2012. Il ministro alle Politiche agricole, Mario Catania in una intervista concessa al Corriere della Sera (vedi qui sotto) ha affrontato il problema della debolezza dell’Italia nella grande distribuzione, specialmente all’estero.
“Non ci sono catene italiane con una buona presenza all’ estero che possano promuovere i nostri prodotti”, ha affermato il ministro. E alla domanda del giornalista, Lorenzo Salvia, Quale può essere la soluzione?, ha risposto: «Alcuni produttori stanno creando direttamente le loro teste di ponte nei grandi mercati stranieri. Depositi, distributori, e tutto ciò che serve per supplire all’ assenza di una grande catena. C’ è qualcosa a Mosca e a Shangai: siamo ai primi passi ma bisogna insistere. Altrimenti lasciamo campo libero ai falsi e alle imitazioni”.
Il problema della Rete italiana di distribuzione e di presenza del prodotto italiano all’estero è un problema serio.
La politica italiana non vuole prendere atto di un fatto, che di fronte ad una produzione alimentare di altissimo pregio, realizzata da aziende piccole e medie, che non hanno la forza di affrontare il mercato c’è bisogno di una rete di distribuzione, per non finire in mano alle multinazionali o alle reti di distribuzione straniere, che potrebbero condizionarne la strategia.
Questo obiettivo, purtroppo e colpevolmetne è stato dimenticato negli ultimi anni e non si è mai tenuto conto che una Rete di distribuzione italiana potenzialmente in essere già esiste. Sono i cinquantamila ristoranti italiani presenti in tutto il mondo.
Perchè non cominciare con le migliaia di Ristoramnti risultati eccellenti dal progetto Marchio Ospitalità Italiana – Ristoranti Italiani nel Mondo, messo in piedi dall’UnionCamere?
Perchè una politica su questo fronte non riesce a decollare?
Ora dopo che nell’intervista al quotidiano milanese, il ministro Catania dice esplicitamente, e giustamernte il Corriere della Sera lo mette nel titoclo, che “serve una rete made in Italy “ possiamo sperare che la situazione cambi?
Ricordiamo che lo scorso mese di maggio presso la sede di Unioncamere a Roma c’è stato un incontro tra il Presidente di Unioncamere Ferruccio Dardanello e il presidente di Ciao Italia (Associazione Ristoranti Italiani nel mondo), Bartolo Ciccardini, per discutere proprio su questi temi.
Da allora però, nonostante gli impegni, tutto, almeno stando a quello che ci risulta, è rimasto lettera morta.
Su questo fronte l’impegno di INformaCIBO, che va di pari passo con il cercare l’unità tra le varie associazioni di Ristoratori italiani all’estero, non viene meno e continuerà con maggior lena.
E in attesa di sentire il Presidente di Unioncamere Dardanello sulle parole del ministro Mario Catania, ecco quello che ci ha dettoBartolo Ciccardini proprio a proposito dell’intervista data dal Ministro dell’Agricoltura al Corriere della Sera.
“La grave crisi economica del nostro Paese, il pericoloso calo del PIL, che rende più pesante il nostro debito pubblico, il calo delle nostre esportazioni manifatturiere, fa risaltare il successo che ancora registriamo nella esportazione dei nostri prodotti agricoli. La dichiarazione del Ministro dell’Agricoltura sottolinea questo fatto e, per la prima volta, annuncia una strategia politica importante: la necessità di istituire una rete di distribuzione italiana per la diffusione del “Made in Italy” ed, in particolare, per la diffusione e la garanzia di genuinità del nostro prodotto agricolo ed alimentare.
I cinesi ci possono fare una concorrenza spietata su tutti i prodotti manifatturieri, ma non potranno -dice Ciccardini- mai copiare il nostro clima, la nostra maestria e la nostra qualità in campo agricolo. È un patrimonio culturale che è stato esaltato da Virgilio duemila anni fa e si è conservato ed arricchito per la capacità italiana di acquisire i contributi altrui e di trasformarli in un nostro tesoro.
C’è una svolta nella dichiarazione del Ministro: innanzitutto l’agricoltura è un bene primario dell’Italia; in secondo luogo il prodotto di qualità italiano è un bene culturale oltre che un bene economico; in terzo luogo ne deriva la necessità di difendere decisamente l’italianità dei nostri prodotti, il “Made in Italy” (lottando anche perché le aziende italiane, come la Parmalat, restino italiane); ed infine la necessità di avere una nostra rete di distribuzione vista la poca affidabilità delle reti di distribuzione dei paesi concorrenti.
L’annuncio del Ministro Catania è molto importante perché finalmente l’amministrazione italiana si è resa conto che una virtuale rete di distribuzione ha operato in favore dell’Italia già negli ultimi decenni del secolo scorso. I lavoratori italiani andati all’estero hanno creato una rete di Ristoranti Italiani, prima al servizio delle famiglie italiane emigrate, e poi, con il miglioramento della qualità al servizio di tutti.
Questa rete ha fatto conoscere il prodotto alimentare italiano e la cucina italiana, ha trasformato il gusto ed i costumi di popoli interi, ha fatto diventare di moda il vino, la pasta e l’olio italiani, ha fatto conoscere un aspetto molto importante della civiltà italiana. Io dico che questa è stata l’impresa italiana più importante del secolo scorso.
La domanda che mi pongo è questa: può questa potentissima rete di lavoro italiano all’estero aiutare l’Italia a fare una rete di distribuzione?
Io ritengo che questo sia un punto di partenza essenziale e sono altresì convinto che la strategia del Ministro Catania -conclude il Presidente di Ciao Italia- saprà utilizzare questa grande risorsa per realizzare un compito strategico alla ripresa dell’economia italiana: la rete di distribuzione italiana del “Made in Italy” a partire dal prodotto agricolo alimentare. È una direzione dove anche un giusto investimento (lottando contro tutti gli sprechi, gli abusi e le disonestà che hanno caratterizzato la politica nei confronti degli italiani all’estero) otterrà risultati decisivi per la salvezza dell’economia italiana”.
Il ministro «Le vendite all’ estero sono cresciute dell’ 86 per cento in dieci anni»
Catania: l’ export agricolo corre, ma serve una rete made in Italy
Marchi e trucchi «In molti Paesi usano la parola Vesuvio per una marca di pasta La parola non è un marchio, non viola la legge ma è una furbata»
di Lorenzo Salvia
(26 settembre 2012) – Corriere della Sera
ROMA – «Il calo dei consumi ci deve stimolare a una maggiore attenzione verso le persone in difficoltà. Ma anche a puntare di più sulle esportazioni per compensare la diminuzione della domanda interna». Nel suo piccolo l’ agricoltura è come la Fiat. Anzi, nel suo grande, visto che l’ anno scorso l’ exportagroalimentare ha superato per la prima volta quello dell’ auto: 30 miliardi di euro contro 25. Eppure, ministro Mario Catania, siamo ancora indietro. Due giorni fa, proprio sul Corriere, Dario Di Vico ricordava come la Germania esporti il 27% della sua produzione alimentare, l’ Italia solo il 19%. Un altro «spread». «È vero, ma rispetto al passato la situazione è migliorata. Negli ultimi dieci anni l’ export alimentare del nostro Paese è cresciuto dell’ 86%, esattamente il doppio del totale delle esportazioni nazionali. E rispetto alla Germania la vera differenza è un’ altra». Quale? «Loro producono più di quanto consumano, noi il contrario: consumiamo più di quello che produciamo. Per la Germania l’ export è fisiologico, anzi necessario». D’ accordo, però è il cibo italiano ad essere famoso nel mondo, non quello tedesco. Non sarà anche colpa dei nostri produttori, che non sempre si adeguano al mercato? «È un’ accusa ingiusta. All’ estero siamo sommersi dalle imitazioni».
Forse ci limitiamo alla gamma di alta qualità. Ma così è difficile fare grandi numeri, specie in un momento di crisi come questo. «Inseguire la bassa qualità non paga. E non abbiamo i bassi costi di produzione necessari per competere». Cosa bisogna fare, allora? «Il vero problema è la nostra debolezza nella grande distribuzione. Non ci sono catene italiane con una buona presenza all’ estero che possano promuovere i nostri prodotti. Auchan, che è francese ma in Italia è diffusa, è in contatto con Auchan Cina per selezionare e promuovere il made in Italy. Siamo ai palliativi». E quale può essere la soluzione? «Alcuni produttori stanno creando direttamente le loro teste di ponte nei grandi mercati stranieri. Depositi, distributori, e tutto ciò che serve per supplire all’ assenza di una grande catena. C’ è qualcosa a Mosca e a Shangai: siamo ai primi passi ma bisogna insistere. Altrimenti lasciamo campo libero ai falsi e alle imitazioni».
A proposito, che fine ha fatto il disegno di legge che aveva annunciato per tutelare il made in Italy? «Molte cose sono state risolte a livello amministrativo o comunitario. Come le norme per l’ etichettatura dell’ olio d’ oliva che adesso prevedono un livello di trasparenza più alto». È il cosiddetto italian sounding: prodotti che sembrano italiani senza esserlo, come il Parmesan o la pasta Panzani? Solo nell’ Unione Europea se ne vendono il doppio di quelli davvero made in Italy. «È un problema vero e lo stiamo affrontando. Le faccio un esempio. In molti Paesi è possibile usare il nome Vesuvio per una marca di pasta o una mozzarella. La parola Vesuvio non è un marchio registrato, non viola la legge ma è chiaro che si tratta di una furbata. Dobbiamo fare pressione sugli altri Paesi per far sì che questo non sia più possibile». Così tutto dipende dalla loro buona volontà? «Sì, purtroppo. Ma alla fine un mercato più trasparente conviene a tutti. Ognuno ha il suo Vesuvio».
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