Gruppo Italiano Vini: “Siamo pronti a far bene e siamo ottimisti”
di Emanuele Scarci
Ultima Modifica: 14/01/2021
Il Gruppo italiano vini supera l’esame emergenza sanitaria limitando la perdita dei ricavi al 7% e realizzando un utile d’esercizio. Meglio l’Europa degli Stati Uniti, mercato trainante nel 2019 con 149 milioni di dollari di ricavi nel 2019, ma nel 2020 in regresso del 20%. Quest’anno, nel post covid, l’azienda riprenderà il lavoro di crescita negli Usa per fare della controllata Wildman l’importatore e il distributore di riferimento.
Nel 2019 il Gruppo italiano vini ha venduto 85 milioni di bottiglie realizzando un fatturato di 406 milioni (leader in Italia), un Margine operativo lordo di 20,5 milioni e un utile netto di 6,9 milioni. La posizione finanziaria netta era negativa per 123 milioni. La società cooperativa conta su circa 850 addetti, dispone di 15 cantine in 11 regioni e 19 brand, tra cui Bolla, Nino Negri, Santi, Re Manfredi, Bigi, Fontana Candida.
“Il gruppo è molto orientato ai mercati internazionali – commenta Roberta Corrà, direttore generale del Gruppo italiano vini (foto in alto) – dove veicola oltre il 70% delle vendite. Il giro d’affari si ripartisce quasi a metà tra Horeca e grande distribuzione, con il retailing trainante sia in Italia che all’estero, in particolare in Germania, Regno Unito e Stati Uniti. Grazie a questa suddivisione, abbiamo mantenuto in piedi tutto: siamo riusciti a imbottigliare, tenere tutti gli agenti e fare le consegne. Non so quale sia invece la fotografia degli altri. Di certo, per chi ha solo l’Horeca non c’è stato scampo: ha dovuto tagliare tutti i costi possibili”.
Quindi anche per il leader di mercato la Gdo è stata una ciambella di salvataggio?
Ci ha consentito di lavorare, con un ricorso limitato alla cassa integrazione, specie per le cantine dedicate al canale Horeca come Nino Negri e Santi. Con l’emergenza abbiamo subito adottato le misure sanitarie e abbiamo posto il 70% degli impiegati in smart working. Per gli operai, quando funzionavano 2 linee, i turni, in barba alla produttività, erano sbalzati di 45 minuti per evitare affollamenti negli spazi comuni. Quindi abbiamo smaltito le ferie e mantenuto il controllo sui costi. Alla fine le motivazioni di tutti sono state mantenute alte e questo ci ha consentito di chiudere l’anno in serenità.
Quali sono le etichette che hanno fatto la differenza?
Bolla, con i vini classici veneti, è stato il fenomeno dell’anno, ma ricordo anche Lamberti, Bigi, Fontana Candia, Feudo Monaci.
I grandi sconfitti della pandemia rimangono i top wine?
E’ stato un sacrificio, ma nulla è perduto. I nostri Negri, Santi e Re Manfredi vanno per lo più in Horeca. Negri addirittura per il 90%. Ma sono anche rossi longevi, più stanno a maturare è meglio è. Inoltre non abbiamo adottato una strategia commerciale aggressiva, con sconti particolari, per spingere le vendite. Se rimangono in cantina 6 mesi in più è tutto oro. A volte anticipiamo l’uscita per motivi commerciali, ma questa volta abbiamo la possibilità di farli maturare di più.
Quanto ha influito sulle vendite la finestra dell’estate?
L’Horeca è stata aperta a intermittenza in Italia e nel mondo. In estate ci siamo salvati un po’: la gente aveva voglia di uscire e di consumare. Per questo dico che non c’è una crisi dei consumi, ma si tratta di essere liberi di consumare.
Gli Usa sono il vostro principale mercato: qual è la situazione attuale?
Sono lo specchio di una situazione pressoché generalizzata. Alcuni Stati hanno chiuso prima e altri dopo, poi si è aperti e chiusi a singhiozzo. Prima ancora si sono avvertiti gli effetti delle manifestazioni antirazziste e poi la paura dei dazi. Per il 2020 stimiamo ricavi in calo del 20%. Negli Usa abbiamo la Wildman, impegnata nell’Horeca, che importa e distribuisce negli Stati di New York e New Jersey. E oggi in Wildman, localizzata nel financial district, lavorano non più di 5 persone, tutti gli altri sono in smart working. Per questo patiamo moltissimo. New York è stato il primo Stato a chiudere, poi ha riaperto i ristoranti solo per il 25%, quindi si è passati al solo asporto. Il retail invece è andato molto bene, compresi i vini di target elevato. Negli Usa, diversamente dall’Italia, il retail offre anche il vino di qualità.
Ci sono investimenti per il 2021?
Siamo pronti a far bene e sono ottimista. Abbiamo iniziato un grosso lavoro negli Usa, congelato per la pandemia, ma appena si potrà lo completeremo. Si tratta di allargare la copertura, per fare di Wildman un importatore e distributore di riferimento.
Qual è il pre-consuntivo del 2020 del Gruppo italiano vini?
Non c’è ancora, siamo nell’ambito di un bilancio gestionale. Considerando l’annus horribilis è comunque dignitoso: i ricavi potrebbero calare del 6-7% ma avremo un utile. Questo ci conforta: non credo ci siano tante aziende in grado di raggiungerlo. Rimarco però che con la grande distribuzione fai girare la macchina aziendale, ma non porti a casa tanti margini. Comunque abbiamo fatto lavorare la gente.
I 20 milioni del Margine operativo lordo dell’anno scorso si dimezzano?
E’ presto per dirlo, dovremo vedere i costi finali. Quest’anno abbiamo portato avanti i programmi di marketing e realizzati gli investimenti sulle cantine. Spero che si inizi a normalizzare, almeno da Pasqua: è una festività che pesa moltissimo sui consumi. Ripeto: questa non è crisi dei consumi ma le persone appena possono escono.
Vinitaly per ora è fissato a giugno: ci spera?
Si, specie se ripenso alla tristezza del wine2wine digital dello scorso novembre. Tuttavia mi sembra quasi impossibile che si possa organizzare una fiera con la promiscuità dei Vinitaly che abbiamo sempre conosciuto. Probabilmente gli organizzatori predisporranno dei percorsi particolari e non so che altro, ma quando diranno che si potrà ripartire dovrà essere una decisione definita, senza accendere e spegnere l’interruttore.
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