Cucina padovana: pollo, galline ruspanti e cappone, ieri e oggi
La storia, le tradizioni, cosa mangiare a Padova e dintorni, l'importanza del pollame nella cucina tradizionale. Come è nata la gallina padovana e una ricetta per scoprirla
di Ines Roscio Pavia
Ultima Modifica: 13/12/2018
La cucina padovana e le sue ricette ci aiutano a capire l’importanza che pollo e gallina hanno ricoperto nei secoli nelle ricette tipiche venete e non solo. E come il ruolo di queste carni bianche sia cambiato nel corso del tempo.
Ormai servire a tavola un pollo è gesto consueto. Un passo da gigante: a rigor di verità non dobbiamo dimenticare che il pollo qualche secolo addietro era un cibo da re, anzi da regine. Risalendo alla corte di Francia durante il regno di Luigi XV, si mangiava la fricassea di pollo e le dame facevano a gara per avere il cuoco più abile nel preparare tale manicaretto. Nel più vicino 1927, il pranzo di Capodanno di Casa Savoia, metteva in bella mostra nel menù risotto alla piemontese e cappone in tegame con insalata. Il banchetto di nozze di Umberto con Maria Josè includeva pollo arrosto. Oggi questo piatto non figurerebbe in nessun pranzo di riguardo.
All’epoca insomma il pollo era un cibo ricercato, delicato, raffinato, ai giorni nostri, con l’ingresso del grande capitale nel settore della produzione alimentare, sono sorti i i grandi allevamenti e siamo arrivati ad un traguardo, impensabile fino a qualche decennio fa: infatti galli, galline, tacchini, anatre, oche e faraone, sono diventate cibo popolare ed a buon mercato.
Questo cambiamento, è dovuto alla grande industria che da una parte ha generato una caduta di immagine che declassa il pollame, ma è anche riuscita a porre il pollame alla portata di tutti. Immagine che sta risalendo con successo, attraverso i cosiddetti cortili “ruspanti” e sicuramente farà strada.
Che differenza c’è tra una gallina, pollo e cappone?
Ma prima un passo indietro: che differenza c’è tra una gallina, pollo e cappone? Non si tratta infatti della stessa cosa e carni, sapori e consistenze variano a seconda che sia gallina o gallo, pollo o cappone. Cominciamo dal pollo: è una gallina che ha raggiunto i sei mesi di età ma che ancora non è “adulta”, cioè non fa ancora le uova. La gallina invece è un pollo che ha raggiunto un anno di età. La carne a differenza del pollo è più dura.Il gallo è un pollo maschio di al massimo dieci mesi di vita. Il cappone invece è un gallo maschio castrato.
La cucina padovana e il pollame
A Padova e dintorni enti, ristoratori e consumatori rilanciano con entusiasmo e professionalità la “corte padovana”. Una piccola delizia “da trattoria” da provare? Una salsa speciale per l’anatra: soppressa veneta e pancetta sminuzzata, burro, acciughe, limone, salvia, rosmarino, aceto bianco il tutto rosolato e poi infornato con l’anatra – che nonostante l’impegno richiesto di essere irrorata sovente di sugo – tenuta a 180 gradi per circa tre ore nel forno – mostrerà alla fine un profumo ed un sapore da vera leccornia.
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La provincia di Padova confina con territori che vantano grandi tradizioni a base di cibi raffinati e impareggiabili. Venezia mette in primo piano il pesce fresco, Vicenza è famosa per i piccioni torresani (rari e quasi introvabili) e per il baccalà nordico, il Friuli ha come fiore all’occhiello il prosciutto San Daniele e la soppressa. Che dire delle carni bovine di Verona e della frutta locale?
Le galline padovane
Ma ritorniamo a Padova con qualche breve accenno alla sua storia. La sua “corte” risale al XVI secolo ed i primi accenni dobbiamo attribuirli a Giacomo Dondi. Sì, proprio quel Dondi che deve la sua celebrità per aver collocato in piazza dei Signori il planetario che dal 1340 continua a funzionare. Fu mente eccelsa e senza limiti o confini, indubbiamente di grande versatilità: dall’orologio all’idea di importare dalla Polonia una nuova razza di volatili per incrementare la specie allora presente che dava segni di scarso sviluppo.
All’epoca il codice “villico” stabiliva che in ogni podere agricolo dovevano scorazzare da cinquanta a cento polli “ruspanti” per le necessità sia del principe che degli abitanti del borgo: una ricchezza ed un impegno. Ovviamente, come tutti i percorsi, anche questo fu lungo e tortuoso, con alti e bassi, finché il veterinario Mazzou rinsanguò il pollame con galli della varietà Cocincina.
La selezione portò ad un importante risultato: nel 1900 le galline padovane ottennero la medaglia d’oro alla grande esposizione di Parigi.
Entusiasmo e gloria: nulla si buttava del pollo. Brodi delicati per fanciulle esangui ricavati da zampe, creste e teste, colli ripieni trasformati con l’aiuto di vari “avanzi” in cotechini, durelli (stomaco) trifolati, risotti con cuore e fegatini. La gallina vecchia –e il detto si conferma ancora – era insipida ma dava buon brodo che, con l’aiuto di spezie, aggiungeva sapore a risotti indimenticabili. Il brodo molto saporito aveva “gli occhi” e la pelle del pollo, grazie al suo grasso, era ricercata.
I pollastri subivano un trattamento personalizzato. Venivano arricchiti di mandorle, zenzero, chiodi di garofano, cannella.
Sapori per noi inconcepibili, ma che all’epoca dovevano essere di grande attrattiva.
La Gallina alla canèvera
Fra tutti questi manicaretti uno dei più quotati, che si può ancora assaggiare e sta diventando una rarità, è la “gallina alla canèvera”. Dal volatile si ricava un brodo concentrato e saporitissimo prodotto da un animale sanissimo e cresciuto allo stato selvaggio che vanta carni compatte, tenacemente attaccate alle ossa. La gallina anziché essere posata nell’acqua per far brodo, viene subbollita chiusa in un sacchetto per alimenti senza aggiunta di liquido e scarica il liquido che produce cuocendo attraverso una cannuccia (la canèvera) nel brodo. Il consommè, ovviamente molto concentrato, si impiega come pietanza ammorbidente versandolo a cucchiaiate sulla carne prima di essere servita.
Orgogliosa della sua corte, Padova ci suggerisce la ricetta della gallina alla canèvera.
Mettere nell’interno di una gallina ruspante di due chili abbondanti, un pezzo di sedano, carota a pezzetti, una cipolla steccata con chiodi di garofano, uno spicchio di arancia e di limone, una mela sbucciata e tagliata a tocchi (a chi piace un sapore di aglio), una cucchiaiata di sale, un pizzico di zucchero, cannella e un paio di cucchiai di olio.
Legare le cosce del volatile accanto al busto infilandovi un pezzetto di canna di bambù di circa 30 cm. Riporre il volatile a testa in giù in un sacchetto adatto alla cottura in modo che una parte della cannuccia, (che funzionerà da sfiatatoio), esca dall’imboccatura del sacchetto e fissarlo con uno spago da cucina. Porre la gallina in una grossa pentola in abbondante acqua poco salata, facendo attenzione che la canèvera esca dall’acqua almeno di dieci centimetri. Il piatto richiede tempo e pazienza: deve subbollire da due ore e mezza a tre ore. A cottura ultimata, la gallina viene servita tagliata a porzione, versando su di essa il sugo formatosi nell’involucro.
Legare le cosce del volatile accanto al busto infilandovi un pezzetto di canna di bambù di circa 30 cm. Riporre il volatile a testa in giù in un sacchetto adatto alla cottura in modo che una parte della cannuccia, (che funzionerà da sfiatatoio), esca dall’imboccatura del sacchetto e fissarlo con uno spago da cucina. Porre la gallina in una grossa pentola in abbondante acqua poco salata, facendo attenzione che la canèvera esca dall’acqua almeno di dieci centimetri. Il piatto richiede tempo e pazienza: deve subbollire da due ore e mezza a tre ore. A cottura ultimata, la gallina viene servita tagliata a porzione, versando su di essa il sugo formatosi nell’involucro.
Il cappone
Che dire del “cappone”? Se si pensa bene, viene dimenticato tutto l’anno per essere festeggiato solo a Natale o Capodanno. Buono lessato, ottimo arrosto, indimenticabile se con un appropriato ripieno. Ma che cosa è un cappone? Non un semplice pollo, è un maschio di sei sette mesi, di grosse dimensioni, castrato due mesi prima della macellazione. E’ proprio la castrazione a rendere la carne del volatile più tenera. Ma per ottenere il massimo lo stesso deve essere ben nutrito ed allevato all’aperto, ruspante. Se lessato, un piccolo trucco per chiarificarne il brodo: porre il consommé alcune ore in frigorifero ed eliminare il grasso in superficie. Unire al brodo quattro albumi sbattuti. Portare il tutto a bollore, lasciandolo sobbollire per mezz’ora circa: le impurità si concentreranno in superficie e sarà facilissimo eliminarle. Per i perfezionisti, anche se non necessario, filtrare il liquido.
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