Antonio Zaccardi: “creatività e identità la forza di un cuoco”
di Informacibo
Ultima Modifica: 23/08/2017
di Eleonora Lopes
Ha lasciato la sua terra, l’Abruzzo, quando aveva solo 17 anni, sono seguiti anni di sacrifici e difficoltà ma poi sono arrivati anche i successi. È così che è iniziata la carriera di Antonio Zaccardi, 39 anni, nato ad Agnone ma solo per vicinanza di ospedale, Antonio è di Castiglione Messer Marino, paesino in provincia di Chieti a confine con il Molise. Oggi è sous chef di Enrico Crippa e lavora da 11 anni ad Alba al ristorante Piazza Duomo, 3 stelle Michelin e 15esimo ristorante miglior al mondo per la World's 50 Best Restaurants.
In una lunga e piacevole chiacchierata lo chef mi racconta la sua storia.
Non ha frequentato l’alberghiero, da bambino voleva fare il meccanico, ma ad un certo punto Antonio lascia la scuola e inizia a lavorare nei ristoranti per rendersi indipendente dai suoi genitori. «La mia è un famiglia umile, -mi racconta- mio padre era operaio, nessuno proviene dal mondo della ristorazione, ma fin da bambino mi piaceva osservare mia mamma in cucina».
Poi affascinato da questo mondo, a 17 anni decide di trasferirsi a Torino. «Lasciare il mio paese per andare a vivere in una grande città è stata in primis una sfida con me stesso. Ho iniziato a lavorare in alcune trattorie, -continua lo chef- si trattava di una cucina semplice, non sofisticata, ma queste esperienze hanno rappresentato la mia palestra di vita e professionale».
Poi scatta il colpo di fulmine, è amore per la cucina e per la sua anima artigianale. «Il cuoco, come tutti i lavori artigianali -mi spiega- è un mestiere che senti dentro, devi scegliere di farlo per amore, per passione. Guadagnavo bene in quegli anni, mi piaceva questo lavoro ma ero ignaro del mondo della ristorazione stellata. Non sono pentito di non aver frequentato l’alberghiero, ma se tornassi indietro, non abbandonerei gli studi. Questo limite è diventato paradossalmente la mia forza, non avendo fatto studi convenzionali, master o grandi scuole, ho creato la mia identità in maniera libera, senza influenze. La formazione è fondamentale ma se ci pensi grandi cuochi come Adrià, Romito o Bottura non hanno fatto il classico percorso da cuoco».
Dopo Torino, Zaccardi comincia a lavorare nelle stagioni invernali a Cortina D’Ampezzo, a Trento presso hotel 5 stelle iniziando così il primo approccio in realtà di lusso. «Sono stato sempre un ragazzo curioso, -mi racconta- in quel periodo giravo per ristoranti gourmet, leggevo libri di cucina, riviste di food. Un amico chef mi consigliò di fare un’esperienza in un ristorante stellato, da qui ci fu la mia svolta professionale. In quegli anni, mentre lavoravo nella brigata di Luca Verdolini a Bolzano, conobbi Angelica, mia collega diventata poi la compagna della mia vita. Lei si occupava della pasticceria, per un po’ abbiamo lavorato insieme, il nostro è un lavoro duro, faticoso e lei è la mia grande forza».
Da questo momento inizia la scalata al successo di Piazza Duomo e Zaccardi diventa sous chef di Crippa considerato oggi uno dei più grandi chef al mondo. «Io e Crippa -mi racconta- siamo abbastanza schivi, riservati, ma ci capiamo al volo, c’è grande sintonia tra noi. Aldilà del grande chef che tutti conosciamo, lui è un grandissimo professionista, molto serio e rigoroso. Mi ha insegnato l’eleganza, la raffinatezza, e la pulizia nei piatti. Lo chef Crippa si sa, ha una grande passione per il mondo vegetale, adora il suo orto e così mi trovo spesso a cucinare verdure, le amo anch'io ma le mie origini abruzzesi non mi hanno agevolato in questo. Da noi si usa mangiare molta carne e insaccati e da bambino ne ho mangiato tanta, troppa: maiale, agnello, pollo!»
Nel 2016, Antonio Zaccardi vince il The Vegetarian Chance, il concorso internazionale di cucina vegetariana e vegana. «A Piazza Duomo dell’Abruzzo -mi racconta- ci sono i miei gusti più che ingredienti specifici. Le Langhe sono un territorio ricco di grandi materie prime, siamo ispirati continuamente, ma almeno due volte all’anno torno sempre a casa dove ritrovo i profumi e i sapori della mia infanzia».
Creatività, identità, ma anche semplicità contraddistinguono la sua idea di cucina. «Credo che la trattoria -mi dice- sia l’anima della cucina italiana, è da qui che dobbiamo ripartire. La cucina è memoria, è ricordo, nasce nelle case delle nostre mamme. Le miei radici costituiscono l’identità del mio lavoro. Mi piacciono i piatti riconoscibili, il cliente deve capire cosa sta mangiando, oggi si tende troppo a scopiazzare, mi piacciono i cuochi che hanno un’identità propria, come ad esempio Paolo Lo Priore, che ha grande personalità».
La cucina italiana cresce e cresce anche grazie al lavoro di ristoranti come Piazza Duomo. «La cucina italiana va verso un’ottima direzione, -conclude lo chef- ma occorrono personaggi chiave, ambasciatori seri e qualificati in grado di promuovere di più il nostro operato nel mondo, gli chef da soli non bastano».
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