Aldo Brachetti Peretti e le 10 vendemmie del Pollenza
di Informacibo
Ultima Modifica: 11/12/2012
Tolentino 2012. Si chiama Angera come una delle nipotine (in tutto sono dieci). E’ un maceratino in purezza, un bianco sapido, minerale, citrino, incantevole. E’ l’ultimo vino prodotto. Insolito qui dove appena un decennio fa c’era nuda terra affogata tra una superstrada e una zona industriale che ora langue in prospettive alienate di semivuoti.
Lo avverto: è un paesaggio metafisico, alla De Chirico. Qualcuno all’inizio dell’impresa pensò ad un iperbole d’orgoglio, oggi sento che era un atto d’amore e che qui si sostanzia un paradigma del cambiamento del nostro modo di pensare e fare economia. Si può percepire tutto questo in una bottiglia, pur eccellente di vino? Ve lo assicuro e vi invito a fare un salto a Tolentino – famosa per il Cappellone di San Nicola affrescato da Pietro da Rimini sul fare del ‘300, per essere stata una tappa sulla Lauretana (la via dei pellegrini verso la Santa Casa), divenuta centro pellettiero di assoluto valore quando dalla prassi mezzadrile si è passati alla frenesia industriale che oggi ha le convulsioni della crisi – per varcare in un amen un confine inesistente e presentissimo: quello delle terre de Il Pollenza. Si fa una curva sullo stradello e la dolente contemporaneità scompare.
Qui è solo aristocratica ruralità.
E c’è nell’aria un refolo di ieraticità. La abita Aldo Brachetti Peretti, conte, discendente dell’ultimo Papa Re Pio IX a cui è dedicato il Pius IX un passito di potenza pari alla soavità, ma soprattutto un signore del petrolio. Ha lasciato le redini operative della Api-Ip (la più estesa rete di distribuzione di carburanti privata) ai figli, ma ne resta presidente d’onore. Oggi il suo centro di gravità è la cantina Il Pollenza, creata dal nulla, con investimenti consistenti – “ci ho versato tutti i miei risparmi “ dice il conte – con l’ambizione, riuscita, di farne uno chateau, ma italianissimo. Aldo Brachetti Peretti – abita Il Casone che custodisce tesori d’arte contemporanea e atmosfere d’antan – me lo confessa oggi mentre accarezza una bottiglia de Il Pollenza (gran vino progettato da Giacomo Tachis, il più grande enologo che l’Italia abbia avuto, oggi accudito da Carlo Ferrini ma portato avanti da un giovanissimo tecnico Giovanni Campodonico, incontro di cab sauv, petit verdot, sangiovese, merlot) frutto della decima vendemmia qui nelle vigne di Tolentino.
“L’ho fatto perché i miei figli si appassionassero alla terra d’origine della nostra famiglia. Sono ormai esperto del mondo per capire che la terra è il nostro unico vero bene e che le radici nostre sono l’unico valore che deve essere custodito”.
Aldo Brachetti Peretti è uomo imponente, franco, ma ha una delicatezza intima: quasi avesse pudore dei sentimenti. Quando degustiamo insieme Il Brianello (bianco sublime da uve sauvignon e trebbiano) Il Cosmino e il Porpora (due rossi accattivanti) e poi lo spumante Il Duende che tra poco avrà una nuova versione si scioglie e finalmente sussurra: “Senza agricoltura non c’è economia e non c’è umanità, l’Italia deve tornare alla terra perché questa crisi si batte solo con l’affermazione della nostra identità”.
Possibile che a dirlo sia un petroliere?
“Sì possibile perché il petrolio ormai non è più un business se non per i paesi produttori e la finanza che gira intorno alle materie prime avvelena il mercato. Se c’è futuro è nelle energie rinnovabili ed ecocompatibili. Perché l’energia serve, ma il valore è la terra. Ed è questo valore che volevo lasciare ai miei figli, per questo ho fatto Il Pollenza. Che è diventato per me un magnete: non riesco a stare lontano da queste vigne, da chi lavora con me e per me la campagna. Ho capito tante cose di me, del passato, della mia famiglia, grazie a questa terra”. Il cronista annota che qui tutto è magnificente e opulento, che soldi ne sono stati investiti tanti, l’appassionato del vino registra che da una terra misconosciuta si producono bottiglie di classe cristallina, e l’uomo avverte un moto di adesione a questa “conversione” economica e culturale del conte.
“Fu Carlo Guerrieri Gonzaga (produce in Trentino il San Leonardo, grande rosso n.d.r) a convincermi, viste le analisi del terreno, a piantare vigna qui. Oggi lo ringrazio perché dopo dieci anni Il Pollenza ha preso la sua identità che è qualità assoluta nel vino e trasmissione, col linguaggio dei sensi, di una passione”.
Si sente, in fondo ad un bicchiere di Angera, un vino che è un manifesto di autoctonia, dedicato a una bimba sperando che metta radici nei campi del nonno. Perché il petrolio scorre, ma la vigna resta. (Libero Gusto – sabato 8 dicembre 2012)
Carlo Cambi
Carlo Cambi, toscano di nascita, è considerato uno dei più autorevoli cronisti dell’enogastronomia e uno dei maggiori esperti di turismo in Italia. Ha esordito giovanissimo nel giornalismo come inviato a «Il Tirreno», poi è passato a «la Repubblica» dove ha percorso tutto il cursus honorum giornalistico dividendosi tra cronaca ed economia fino a fondare, e dirigere per otto anni fino al 2005, «I Viaggi di Repubblica»: primo e unico settimanale di turismo in Italia.
Ha scritto per «Panorama», «Epoca», «L’Espresso», «Il Venerdì di Repubblica», «Affari e Finanza».
Attualmente è responsabile delle pagine enogastronomiche del quotidiano «Libero» ed editorialista per i giornali del gruppo «Quotidiano Nazionale» («il Resto del Carlino», «La Nazione», «Il Gior- no»).
Ha ricevuto molti riconoscimenti e nel 2009 è stato insignito del premio internazionale AIS-Bibenda (già Oscar del vino) quale migliore giornalista enologico.
È membro dell’Accademia dei Georgofili (la più importante società di studi agricoli d’Europa) e del comitato scientifico associazione Città del Vino. Con la Newton Compton ha pubblicato, oltre al bestseller Il Mangiarozzo, 101 trattorie e osterie di Milano dove mangiare almeno una volta nella vita e Le ricette d’oro delle migliori osterie e trattorie italiane del Mangiarozzo.
Ora vive e lavora a Macerata.
– Un progetto del conte Aldo Brachetti Peretti
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