A SPASSO CON BACCO, ovvero: Sorgente del vino Live 2014 - InformaCibo

A SPASSO CON BACCO, ovvero: Sorgente del vino Live 2014

di Informacibo

Ultima Modifica: 04/03/2014

di Raffaele D'Angelo
Molto radicati nel loro territorio, questi piccoli avventurieri dell’enologia di prestigio, riescono ad interpretarlo in maniera esemplare con piccole produzioni, prestando molta attenzione alla tipicità ma soprattutto senza ricorrere a sostanze chimiche, tantè che il loro verbo quale sovescio, biodinamicità, clima, rispetto dei cicli biologici della vite, vini naturali e territorio, è il fattore determinante e preponderante della loro filiera produttiva.
Ed ora, cari amici e gourmet della tavola e del buon bere, vi farò partecipi, nel limite del possibile, di quanto ho visto, ma soprattutto assaggiato e gustato!!!
I produttori non erano organizzati per regione, quindi ho iniziato il mio giro a random.
Appena entrato, incontro gli amici dell'Acino, azienda calabrese, adagiata sulla piana di Sibari, nel cosentino, tra lo Ionio e il Tirreno, ai piedi del Pollino e con lo sguardo rivolto alla Sila, terreno argilloso vocato alla viticoltura sin dall'epoca micenea, XIV-XII° sec. a.C. Di questi tempi ormai remoti e quasi dimenticati, vi sono testimonianze di scambi commerciali tra i mercanti greci e le popolazioni locali. In altra epoca, gli achei del Peloponneso fondarono nel 709-708 a.C., circa, l'una dopo l'altra, Sibari e Crotone, dando vita alle colonie della Magna Grecia. Qui il terreno argilloso ricco di nutrienti e il microclima mediterraneo dalle notevoli escursioni termiche, erano ideali per la crescita della vite che dava vini corposi e venivano commercializzati in tutto il mediterraneo.
Assaggio il Chora bianco, uve di mantonico, guarnaccia bianco e greco: alla vista si presenta giallo paglierino intenso con marcati riflessi dorati dai netti sentori floreali, susina e pesca matura, mentre al palato è secco con nota di freschezza senza essere aggressiva, buona morbidezza ed equilibrio. Passato al Chora nella brillante tipologia rosso rubino intenso da ricchi aromi di frutta rossa molto matura, confettura di prugna, ciliegia sotto spirito e mirtilli; al palato è secco e vellutato dalla tannicità non invadente, caldo di alcol, nota di frutta matura e di sottobosco dal finale lungo e persistente. Ottimo con la gustosa cucina del territorio, quale pastasciutta con ricchi e saporiti intingoli di carne, agnello e piccola cacciagione.
Appena salutato gli amici dell'Acino, eccomi catapultato in Sicilia, i miracoli del vino, macchè Sicilia, eccomi in Spagna, allora sono in Sicilia dove, dalla fusione di due superbe culture nasce "Dos tierras", unione di nero d'Avola e tempranillo. Questo vino nasce da un progetto di Pierpaolo Badalucco e della moglie andalusa, Beatriz de la Iglesia Garcia, i quali dopo essere ritornati in Sicilia dalla Spagna, iniziano la sperimentazione prima e la produzione dopo, di tremila bottiglie di un blend costituito, appunto, dall'80% di nero d'Avola e restante tempranillo: particolare e complessi sentori evoluti, lunghe note floreali, fruttate e di spezie dolci. Complimenti ancora.
Carrellata di stand alla ricerca di qualche altra chicca, eccomi da Michele Laluce e al suo ottimo aglianico: mi intrattiene spiegando che la sua cantina si trova sulla strada provinciale che collega Ginestra a Venosa. Mi fa assaggiare due diverse tipologie della sua produzione, Zimbernò, aglianico del Vulture DOC 100%, un rosso corposo e molto strutturato prodotto in terreni calcarei e magmosi di origine vulcanica, con allevamento sia a spalliera e potatura a Guyot che a cordone speronato. La vinificazione è in acciaio a temperatura controllata con affinamento di una piccola percentuale in botte di rovere. Alla vista è rosso rubino intenso, cupo, al naso rivela un bouquet vario e complesso di frutta rossa sotto spirito, mentre in bocca prevalgono ciliegia e prugna matura, ottima tannicità ma vellutato e molto elegante, armonico dalla nota minerale con una lunga persistenza. Adatto ai piatti della tradizione lucana, formaggi, arrosti e quantaltro questa grande e nobile terra possa esprimere culinariamente.
Altro assaggio, le Drude, rosso elegante dal profumo di sottobosco, sentori di spezie dolci e di cuoio ma meno tannico e più rotondo rispetto al precedente ma che presenta un notevole difetto: ti invita a berne almeno un altro sorso, ma è meglio se sono due!!
Non si può dire di no, anche se la giornata è ancora lunga e mi aspettano ancora tante tappe che mi auguro siano all’altezza di queste appena fatte.
Appena poco distante, incontro lo stand di "Pantum", primitivo di Manduria, anzi vino primitivo, tra i miei preferiti, quindi mi soffermo e gentilmente chiedo un assaggio. Non hanno molta voglia di parlare, chiedo una foto ad una signora dai toni gentili e raffinati e mentre lo versa nel calice da degustazione, aggiunge che sono una piccola azienda e imbottigliano solo il vino che si produce nella proprietà.
Si percepisce subito il carattere e l’eleganza del vino, fresco, fragranze di frutta rossa matura e confettura, quasi una spremuta di amarena sottospirito, sapido, con una lunga persistenza.
Proseguo di alcuni passi, incontro il Piccolo Forno Marziali, si definisce "fornaio anarchico" e colgo l’occasione per l’assaggio qualche biscotto, che dire, delizioso, si avvertono i sapori maltati di campagna e i dolci della nonna.
Giusto il tempo di riprendermi, ed eccomi di nuovo in Calabria, Francesco de Franco, Cantina A’Vita, Cirò (Kr). Francesco, un architetto prestato all'agricoltura, tra i massimi interpreti del gaglioppo del Cirò: pressatura soffice, basse rese, rispetto del territorio, rispetto delle regole della produzione biologica. Assaggio il suo rosato, alla vista è chiaro, ottima trasparenza, il colore ricorda quello della pesca rossa, al naso fruttato, elegante, sentori di macchia mediterranea, molto equilibrato ma intenso e sapido; in bocca prevalgono frutti di bosco, ottima la freschezza con una sapidità che ti fa ricordare le brezze marine di punta Alice.
Passo al rosso riserva che si presenta rosso rubino scarico, ottenuto da un’attenta e curata pressatura soffice. Al naso prevale ribes rosso, ciliegia matura, in bocca si riconfermano questi sentori, sapido, lieve nota speziata, finale lungo e un leggero retrogusto di ulivo ed eucalipto, sottobosco, che mi ricordano le camminate tra i litorali della costa ionica prima di arrivare sulla spiaggia.
Da Cirò, dopo appena due passi, eccomi in piena Borgogna con i suoi grandi vini, sono catturato dallo sguardo magnetico di Céline, i cui vigneti si trovano a Loché-Macon, zona molto vocata ai vini bianchi, soprattutto sauvignon blanc. Col personale francese scolastico, da Cèline riesco ad apprendere che si tratta di un vino ottenuto secondo il rispetto dell’agricoltura sostenibile, biologico e biodinamico, certificato, poche bottiglie prodotte. Assaggio Pouilly Loché, uno chardonnay in purezza, affinato in botti di rovere: veramente eccezionale, elegante e sapido, dai lunghi aromi di legni dolci.
Dopo la Francia, la Slovenia assaggio i vini Biodinamici e “naturali” dell’Azienda del sig. Klinec Aleks, a Dobrovo. Vini molto “futuristici”, un po’ fuori le righe. Ottimi. In ogni sorso tanta passione, amore e rispetto per il territorio, fotografia di rito, assaggi e appuntamento in Slovenia dove Aleks possiede un agriturismo con cibo “organico”.
Barcollo ma non mollo, mi viene da pensare.
Un altro sguardo magnetico della tipica bellezza mediterranea, chiedo di mettersi in posa, sorride con la bottiglia in mano, siamo in Sicilia, precisamente a Vulcano, l'azienda Paola Lantieri, e mi spiega alcune tecniche di produzione di questo dolce nettare. L’uva è appassita sia in pianta che sui canneti, mi versa un assaggio, nel bicchiere riflette i colori dell'oro, al naso, floreale, con sentori di miele di acacia, note di frutta secca, mandorla, frutta gialla matura, mentre in bocca predomina l'albicocca, pesca, frutta esotica, sapido come le brezze di Vulcano, mi rimane la persistente che ricorda la mandorla.
Continuando a vagare tra gli stand, intravedo il caro amico Avv. Domenico Silipo, proprietario di Casa Comerci. Due volte mio corregionale, in quanto anche lui vive in Emilia Romagna ma proviene da Vibo Valenzia, precisamente da Limbadi (VV). È affiancato da Cesare Petracca che si occupa professionalmente della cantina, in cui si vinificano esclusivamente vitigni autoctoni in purezza. Un breve assaggio di "Libici", da uve di magliocco canino, che prevale in molte DOC calabresi, ma che da Casa Comerci sono lavorate in purezza. Nello stand mi rifocillo di pane casareccio e con la sempre presente ottima nduja di Spilinga.
Approfitto della nduja, adesso mi sento a casa, le mie papille sono delicatamente avvolte dal peperoncino e hanno bisogno di una pausa.
Solo le 16, ed è ora della lezione sulla storia della viticultura calabrese tenuta dal Prof. Orlando Sculli alla quale mi ero precedentemente accreditato, dal tema, interessantissimo, de "Biodiversità  recupero di antiche varietà di vite, olivo e alberi da frutta in territorio calabro".
Mancando da oltre vent'anni dalla Calabria, è un valido motivo per seguirne gli avvenuti progressi.
Sono trascorsi più di dieci anni, da quando il Prof. Orlando Sculli scoprì, quasi per caso, una vigna marginale nel comune di Ferruzzano, la quale fu occasione per approfondire la ricchezza della Calabria nel campo dei vitigni autoctoni. Da allora, l'attività del professor Sculli non si è mai fermata ed è proseguita nella consapevolezza che il germoplasma, ossia la biodiversità in agricoltura del territorio calabrese, sul quale sono ancora presenti rarissime specie di vitigni e alberi da frutto in via d'estinzione, vada preservato e possibilmente messo al sicuro in campi di conservazione.
Il Professor Sculli ha saputo incrociare sapientemente le informazioni raccolte fra la popolazione, nelle sue lunghe e difficili perlustrazioni del territorio, con la sua profonda cultura della storia e della civiltà non solo d'Italia, ma di tutta l'area del Mediterraneo, partendo da numerosi secoli prima di Cristo per giungere ai giorni nostri.
Il giardino, ovvero, Chepos delle Meraviglie, è solo una parte del suo intenso lavoro che ha bisogno di essere diffuso, in quanto merita ampiamente la valorizzazione e sia conosciuto ed apprezzato non solo dagli addetti ai lavori, ma anche dalle popolazioni locali la cui storia si perde nella notte dei tempi.
Il relatore ha terminato con la trattazione sui genomi del “greco di Bianco” che è stata illuminante, data la particolarità degli elementi riportati e dalla chiarezza espositiva: presentazione, in toto, veramente unica. Complimenti ancora al Prof. Sculli.
Con la mente ancora rivolta alle interessantissime trattazioni sul territorio calabrese, eccomi verso le ultime  visite, devo incontrare l'amico Santino Lucà con il suo greco di Bianco. Un produttore attentissimo alla qualità dalla produzione limitatissima, in quanto si definisce tale per “vocazione”.  Il Greco di Bianco è un altra eccellenza che tutto il mondo invidia alla Calabria e all'Italia enologica.
Citato nella celebre battaglia della Sagra avvenuta nel 500 a.c. combattuta tra Locri e Crotone, alla quale si attribuisce al greco di Bianco il merito della vittoria riportata da 10.000 locresi contro un avversario immensamente più nutrito, pari a 130.000 guerrieri.
In antichità, erano lodate anche le virtù afrodisiache di questo vino, tantè che in un graffito è possibile leggere "Sei veramente gelida, Bice, e di ghiaccio, se ieri sera nemmeno il vino Greco e' riuscito a scaldarti"  In tempi più recenti, il grande Luigi Veronelli ebbe a dire " … che in provincia di Reggio Calabria, precisamente tra i comuni di Bianco e Casignana, c'è una rara gemma enologica: è il passito greco di Bianco dal colore tra l'oro antico e l'ambra, profumo unico, amaro e aromatico come le zagare ed il bergamotto".
Se il grande Veronelli si è sbilanciato in tali asserzioni, gli si deve assolutamente credere!!!
Ottimo abbinamento con dolci di pasta e miele o con le mandorle, fichi al forno sempre con le mandorle.
Ottima interpretazione dell'amico Santino Lucà.
Mi ritaglio ancora un po’ di tempo, già le hostess invitano gentilmente ad abbandonare la nave, cerco i cari amici della Cantina Viola, intravedo Alessandro, con suo fratello Claudio ci si sente telefonicamente da quasi un anno ma non ci siamo mai incontrati, mi offrono un assaggio ma non mi riconoscono, iniziano a spiegarmi le caratteristiche di questo nettare di Calabria, orgoglio della viticultura italiana. Mentre lo assaggio penso: Qui si inchinano anche gli amici d’oltralpe. Ma lo penso già da un po’. Saracena è un comune della provincia di Cosenza, si presume discenda dall’Antica Sestio, fondata dagli Enotri.
Il Moscato di Saracena stava per scomparire, è stato grazie alla passione del Maestro Luigi Viola che una volta in pensione, ha pensato di dare vigore a questa tradizione. Alcune informazione su come si produce questo nettare di Calabria. Il procedimento è quasi un rito. I primi di Settembre viene raccolto il Moscato, fatto appassire impiccato grappolo per grappolo. Nella prima decade di ottobre viene raccolta la Malvasia e la Guernaccia, in parti uguali, dopo una pressatura soffice, si utilizza quasi il mosto fiore, viene bollito e ridotto per aumentare la concentrazione zuccherina, poi viene aggiunta l’uva moscato, schiacciata manualmente acino per acino per evitare la rottura dei vinaccioli, sarà quest’ultima uva che conferirà i caratteristici profumi, miele di acacia, delicati sentori di agrumi, mandorle, cardamomo, salvia, albicocca e altri odori della macchia mediterranea. L’azienda produce circa 5000 bottiglie. Vincitrice di numerosi e prestigiosi riconoscimenti, è presidio Slow Food. Complimenti all’Azienda Viola che con passione e tenacia è riuscita a mantenere questa tradizione. Ottimo da meditazione, abbinamenti: formaggi erborinati, dolci secchi della tradizione italiana.
La giornata è stata l’occasione per conoscere dei nuovi amici calabresi. Cataldo Calabretta, viticultore in Cirò, che dopo anni di consulenza ha deciso di intraprendere la propria avventura vinificando in proprio le uve di sua produzione, seguendo i dettami dell'agricoltura sostenibile. Francesco Scilanga dell’Azienda Cote di Franzè di Cirò Marina, coltiva 9 ettari di vigneto di varietà autoctone Gaglioppo e Greco Bianco, 2 ad alberello antico a 9000 piante per ettaro, con metodo di coltivazione biologica.
Gentilmente sollecitato ad uscire, lentamente mi avvio alla macchina, ma è un comportamento lento e lievemente frastornato, come se camminassi su un’impalpabile e leggera nuvola dalle rarità ed immani piacevolezze che questi piccoli ma immensamente “grandi” produttori sono stati in grado di fare con quanto la natura ha dato loro: storicità, terra, rari vitigni e l’innato ingegno dell’uomo …

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Capo Redattore