La classifica delle aziende con la migliore reputazione in Italia
di Informacibo
Ultima Modifica: 04/04/2013
Milano 4 aprile 2013. La reputazione è una leva di business. La correlazione fra ciò che i consumatori pensano di un’azienda e la sua performance di mercato è diretta: i comportamenti di acquisto sono infatti influenzati soltanto al 43% dalle caratteristiche del prodotto o servizio, e ad avere il peso maggioritario, del 57%, nella decisione se acquistare o meno, è l’universo di valori trasmesso dall’azienda.
Ad affermarlo è il Reputation Institute, società internazionale specializzata nella gestione della corporate reputation, che ha presentato ieri i risultati del proprio studio annuale sulla reputazione delle aziende italiane, l’Italy RepTrak 2013, realizzato conducendo circa 2.800 interviste sulle 100 maggiori aziende B2C che operano in Italia.
La reputazione, dicono gli esperti di Reputation Institute, è costruita da diversi fattori, dei quali la qualità dei prodotti e servizi è soltanto una delle componenti: hanno un ruolo rilevante, nella percezione di consumatori e stakeholder, anche aspetti quali la capacità di innovare e di esprimere leadership sul mercato, il comportamento etico e responsabile, i buoni risultati economici e finanziari, la qualità dell’ambiente di lavoro. La percezione è, essa stessa, il risultato di molteplici input che arrivano al consumatore: in primis, l’esperienza diretta del brand (acquisto di prodotti, utilizzo del customer service, esperienza nel punto vendita, investimenti finanziari, esperienza dell’azienda come posto di lavoro), poi ciò che il brand dice di se stesso attraverso il marketing, la comunicazione e la pubblicità e, infine, ciò che ne dicono terze parti (media, opinion leader, esperti, ma anche amici e familiari).
Prima in classifica per reputazione fra le aziende che operano in Italia si conferma nel 2013 Giorgio Armani, che già nel 2012 aveva conquistato la vetta della classifica, con un punteggio che, su una scala da 1 a 100, è stato calcolato in 86 (+3,6% rispetto al 2012) a conferma del livello d’eccellenza. Seconda è ancora Ferrero, con un punteggio di 85,6 in crescita del 4,5%, e terza, novità di quest’anno, è BMW che, con 83 punti, guadagna due posizioni scalzando Barilla, ora al 5° posto.
Da segnalare l’ottima performance dei brand made in Italy: oltre a Giorgio Armani e Ferrero, figurano nella top 20 Barilla (5°), Indesit (7°), Luxottica (8°), Piaggio (10°), Mondadori (11°), Artsana (12°), Delonghi (15°), Esselunga (16°), Menarini Farmaceutici (17°), Pirelli (18°) e Coop (20°), a conferma che la reputazione delle aziende italiane è elevata sul mercato nazionale. Escono invece dalla top 20 Ford, Prada e Alpitour.
I brand che hanno visto l’incremento reputazionale più significativo rispetto allo scorso anno sono Costa Crociere, che con un +12,1% e 59,6% punti totali recupera in parte la pessima performance registrata nel 2012 a seguito del naufragio della Costa Concordia, Mondadori (+9,2%) e Indesit (+8,7%). Quelli che, invece hanno visto la flessione più consistente sono Monte dei Paschi di Siena, che a causa dei recenti scandali finanziari ha perso il 14,4%, Poste Italiane, a -8,8%, e E.On, società dell’energia in calo di reputazione (-5,7&) come, in questo periodo, quasi tutto il comparto utilities.
Le implicazioni della reputazione sulle performance di mercato emergono con chiarezza: lo studio di Reputation Institute ha rilevato che la disponibilità dei consumatori ad acquistare da aziende che figurano nelle prime 10 posizioni della classifica italiana è pari al 71%, mentre è del 68% la loro disponibilità a raccomandarne i prodotti a terzi; significativamente più basse le percentuali relative alle ultime 10 aziende del ranking, per le quali la disponibilità all’acquisto è del 26% e alla raccomandazione del 25%. In generale, le aziende top performer in termini reputazionali possono contare anche su una elevata predisposizione di consumatori e stakeholder anche a investirvi finanziariamente (comprandone i titoli azionari e obbligazionari) e a considerarle positivamente anche come potenziali datori di lavoro.
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