Fondazione Divulga: 2 semi su 3 in mano alle multinazionali. I rischi dell’oligopolio
di Alessandra Favaro
Ultima Modifica: 04/01/2021
Nel mondo, 2 semi su 3 (66%) sono controllati da un gruppo di multinazionali che ne gestisce tutto: la distribuzione, il prezzo, l’utilizzo e la conservazione.
È quanto emerge da uno studio della Fondazione Divulga su “Il mercato degli input e dei servizi all’agricoltura” che evidenzia forti limiti nel grado di libertà e concorrenza in un settore che è diventato centrale per garantire gli approvvigionamenti alimentari in tempo di pandemia Covid.
L’emergenza globale provocata dalla diffusione del contagio ha fatto emergere una consapevolezza diffusa sul valore strategico rappresentato dal cibo e sulle necessarie garanzie di qualità, sicurezza, disponibilità ma anche le fragilità presenti per garantire l’approvvigionamento delle popolazioni in un momento di grandi tensioni internazionali, anche negli scambi commerciali.
Il quadro che emerge non solo conferma il crescente livello di concentrazione di alcuni grandi segmenti di mercato – sottolinea la Fondazione Divulga – ma spinge anche a riflettere sulle conseguenze dei processi di integrazione che con sempre maggiore intensità si stanno consumando all’interno dell’area delle forniture all’agricoltura.
Per valutare la situazione nei singoli settori – spiega Divulga – si fa riferimento a un parametro chiamato CR4 che indica il peso dei primi quattro protagonisti di un comparto: con un valore inferiore al 40% i mercati sono considerati competitivi mentre, con un CR4 tra il 40% e il 60% sono considerati moderatamente concentrati, superiore al 60% sono ritenuti altamente concentrati ed è intuitivo che a livelli di concentrazione più elevati corrispondono rischi più alti di funzionamento oligopolistico dei mercati.
Il mercato mondiale dei semi – spiega Fondazione Divulga – ha raggiunto un CR4 stimato attorno al 66% che in alcuni specifici ambiti raggiunge punte molto elevate, come nel caso degli ortaggi, e a preoccupare è anche il CR2 (quota di mercato dei primi due player), che nel caso dei semi per pomodori, supera il 65%. Bayer, ChemChina e Corteva coprono una quota pari a circa il 50% per gli agro-farmaci e una quota di poco superiore per le sementi.
Questo, secondo Fondazione Divulta, offre alle multinazionali l’opportunità di rafforzare la dimensione verticale della propria presenza sul mercato e molte delle fusioni e acquisizioni degli ultimi anni sono state realizzate in questa direzione. La recente operazione Bayer-Monsanto per circa 70 miliardi di dollari, con il clamore dei nomi e delle cifre coinvolte nell’affare, ha attirato l’attenzione dell’opinione pubblica su un mercato che però presenta anomalie in quasi tutti i suoi segmenti.
Negli anni ’70 l’industria delle sementi era caratterizzata da molte piccole aziende, alcune anche a conduzione familiare ma poi – continua Divulga – la protezione della proprietà intellettuale ha spinto gli investimenti in ricerca e sviluppo e promosso dimensioni più ampie delle compagnie. I principali produttori di chimica per l’agricoltura hanno iniziato ad investire in questo settore attraverso operazioni di acquisizione e fusione che hanno poi facilitato il processo di standardizzazione dei semi in base ai corrispondenti trattamenti chimici.
L’ultima serie di aggregazioni – evidenzia Fondazione Divulga – ha messo in campo cifre da capogiro e alcune di queste operazioni sono a pieno titolo rientrate tra le più importanti degli ultimi vent’anni come la nascita di Corteva Agriscience, una fusione del valore di oltre 130 miliardi di dollari, che ha unito due giganti come Dow e Dupont oppure – continua Divulga – all’acquisizione delle azioni Monsanto da parte di Bayer per un valore di poco inferiore ai 50 miliardi di dollari e all’acquisizione di Syngenta per 43 miliardi da parte di ChemChina che segue altre operazioni portate avanti dal colosso cinese, come quella con l’israeliana Adama.
Gli ultimi venti anni hanno visto cambiamenti profondi nell’assetto del mercato dei prodotti e dei servizi all’agricoltura e come mai nella storia – sottolinea il report – i grandi gruppi della chimica, dei macchinari e dei servizi digitali sono stati protagonisti di operazioni di “accorpamento” multinazionale che hanno accresciuto le barriere all’ingresso sul mercato di nuovi operatori e ristretto le possibilità di cambiare operatori e fornitori da parte delle aziende agricole e degli Stati.
In Italia la rete dei Consorzi agrari a con la società Cai (Consorzi agrari d’Italia) è l’unico polo di riferimento per centinaia di migliaia di aziende diffuse capillarmente su quasi tutto il territorio, comprese le aree più difficili, a sostegno dello sviluppo e della competitività dell’agricoltura italiana, di fronte al crescente strapotere delle multinazionali nel mercato dei mezzi tecnici oltre che su mercati sensibili come quelli delle sementi.
ll progetto Cai con Bonifiche Ferraresi sostenuto dalla Coldiretti punta creare un’unica centrale di acquisto per tagliare i costi aziendali e per aggredire i mercati con le vendite online e attraverso i nuovi canali. Se le economie di scala permetteranno risparmi alle imprese l’aggregazione consente l’avvio di progetti strategici nel campo dell’agricoltura di precisione e della valorizzazione dei big data. Infatti la crescita del settore – afferma la Fondazione Divulga – sta portando anche all’incremento dei processi di raccolta dei dati sui clienti, sui prodotti acquistati, sulle condizioni agro ecologiche dei territori e, in conclusione, sui punti di forza e di debolezza delle singole aziende e delle aree regionali e nazionali in cui operano. Ma se da una parte si tratta di un’opportunità per rispondere meglio alle esigenze degli agricoltori, dall’altra – conclude la Fondazione Divulga – la concentrazione in poche mani dei fattori di produzione, dalle sementi ai big data, è un rischio perché espone le economie nazionali al potenziale assalto degli speculatori e alle tensioni internazionali sull’accesso al cibo.
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