Il piatto «povero» della Calabria e i tanti orologi dell’Italia
di Informacibo
Ultima Modifica: 17/05/2015
Milano 17 maggio 2015. Sono andato martedì scorso a tarda sera con mio figlio e Claudio Gatti, il più americano dei nostri inviati investigativi, all'Expo a Rho con l'obiettivo dichiarato di cenare alla “trattoria Italia” dove tutte le regioni del Bel Paese sono rappresentate con le loro pietanze caratteristiche e i loro chef migliori, e verificare in prima persona se questa specialissima trattoria è o no all'altezza delle aspettative. La compagnia straordinaria di mio figlio che insieme a mia moglie mi riempie la vita, ma vive a Roma e, quindi, non sta quasi mai con me durante la settimana, la presenza altrettanto straordinaria di un collega di valore che è prima di tutto un amico e vive a New York, mi mettono di buonumore e mi conciliano ancora di più con una Milano che si è svegliata di suo dal lungo sonno, coniuga fermenti nuovi, cultura e made in Italy, creatività, gusto e buona cucina, vive la sua stagione più bella pur tra ombre pesanti da diradare, mille ritardi e disfunzioni che sopravvivono, un flusso notturno tra Expo e città che non è mai davvero partito.
Punto a colpo sicuro alla trattoria ligure perché ho desideri adolescenziali di un piatto di trofie al pesto e contagio tutti, siamo accontentati, ma la ristoratrice ci mette in guardia:
«Mi dispiace molto, non possiamo fare più fritti di alici o di acciughe ripiene perché l'olio della friggitrice non è più quello giusto».
Ci fermiamo al primo, convinti di rifarci sui secondi con altre trattorie del Bel Paese. Entriamo e usciamo in sequenza dalle “locande” della Lombardia, del Piemonte e dell'Emilia Romagna, e qui giochiamo la carta estrema del culatello, del crudo o della mortadella, ma la risposta sempre molto cortese non cambia: «Siamo davvero dispiaciuti, alle 22 e 30 dobbiamo fermarci, abbiamo già fatto i conti e chiuso la cassa». Dal bancone degli affettati la ragazza quasi si schermisce: «Vorrei proprio, ma non posso, l'ho fatto ieri sera e sono stata duramente richiamata». Un bel piatto di trofie al pesto a me sembra che possa bastare, ma vedo Claudio che insiste: «Dai retta a me, seguimi, passiamo al marciapiede opposto». Non capisco, ma mi adeguo.
Arrivato dall'altra parte, mi diventa tutto più chiaro. Davanti a noi ci sono le “trattorie” di Calabria e Sardegna. Chiedo: «Avete chiuso?». Risposta all'unisono: «Per carità, tutto aperto, dovete solo ordinare». Subito Claudio: «Te lo avevo detto che dovevamo scendere al Sud, non mi dirai che ti sei stancato ad attraversare la strada?». Mi viene da ridere, ma mi trattengo, scegliamo un piatto povero della Calabria fatto di pane duro bagnato, olive nere, pomodorini e molto altro, odori contadini, pieni. Poi, tra il ristoratore calabrese e il collega sardo, assistiamo a una nobile gara: quella a chi ci infila più dolci locali nel vassoio, con gesti e sguardi che non consentono di rifiutare, resistiamo con garbo, diciamo finché è Calabria ha il gusto “nobile” della Panzanella e si rivelerà buonissimo, esattamente come le trofie al pesto. Una voce dall'altoparlante intanto scandisce: «Informiamo che alle 23 l'Esposizione universale chiude i cancelli».
Penso che dobbiamo fare un bel pezzo di strada a piedi per raggiungere l'uscita di Cascina Merlata e arriveremo anche noi in ritardo. Mentre procediamo, a passo spedito, sulla strada del ritorno di questo rocambolesco “giro d'Italia” del cibo, non riesco a togliermi dalla testa i due marciapiedi della Trattoria del Bel Paese e mi viene da sorridere. In una serata afosa milanese è bastato fare pochi metri per attraversare l'Italia da un capo all'altro, gustare alcune delle sue “bellezze” gastronomiche, farsi trasportare dalla genuinità dei sapori e dai modi dei ristoratori, capire fino in fondo che cosa è il valore del rispetto delle regole e quanta strada si deve ancora fare perché diventi un bene condiviso nella terra dei mille campanili e dei suoi tanti orologi. In una serata afosa milanese è bastato fare pochi passi, da un marciapiede all'altro, per toccare con mano la testa, il cuore, l'anima, perfino il palato, delle tante Italie, e non perdere la speranza che trovino prima o poi il modo di camminare tutte insieme, unendo le virtù non i difetti.
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