Sagre “tarocche” o scarse: sono 32mila quelle prive di autenticità
La Federazione Italiana Pubblici Esercizi fa il punto sull’abusivismo e sulle false sagre denunciando oltre 32.000 eventi privi di requisiti di autenticità e legami con il territorio;
di Alessandra Favaro
Ultima Modifica: 26/08/2019
Sono circa 32.000 le manifestazioni prive di requisiti di autenticità che non promuovono prodotti tipici e non hanno legami con il territorio di riferimento, lo denuncia Fipe – Federazione Italiana Pubblici Esercizi –. Una deriva commerciale che rischia seriamente di modificare la natura stessa di eventi che dovrebbero raccontare ed esaltare le tradizioni degli italiani.
L’analisi di Fipe evidenzia il fenomeno di eventi a dir poco paradossali: dalla sagra del pesce di mare in alta montagna, con tanto di paella spagnola, a centinaia di km dalla costa, alla sagra dell’arrosticino abruzzese nel varesotto, o le migliaia di feste della birra che fanno sembrare l’Italia una provincia tedesca.
“Questi sono solo alcuni esempi che dimostrano come, purtroppo, stiamo andando nella direzione sbagliata” scrive Fipe nella nota.
Lo scenario analizzato da Fipe ci dice che ogni anno nel nostro Paese si svolgono oltre 42 mila sagre, in media 5 per ogni comune, per un complesso di 306.000 mila giornate di attività, con una durata media di 7 giorni, e un fatturato notevole che arriva a 900 milioni di euro. Il fenomeno si concentra fortemente nelle stagioni turistiche e nei mesi di bella stagione.
Ben 8 sagre su dieci infatti si svolgono tra giugno e settembre, e proprio in questo periodo i giorni di attività si allungano fino a coprire il 90% del totale. In particolare solo nel mese di agosto si realizzano circa 15000 sagre ovvero oltre 104mila giorni dedicati a questi eventi, pari al il 34% delle giornate complessive dedicate ad esse.
Una risorsa per i territori…o no?
L’origine del nome sagra
Come suggerisce la stessa parola, il termine “sagra” deriva da sacra e sagra è in origine era proprio un evento legato a qualcosa di religioso. Poi divenne anche la celebrazione dedicato alla commemorazione di quelle consacrazioni o dei santi patroni, a cui si legavano iniziative come mercati e festeggiamenti.
Il suo concetto si è ampliato negli anni e oggi significa prevalentemente una fiera popolare e locale, la cui caratteristica a distinguerla da un evento è quella di esaltare e offrire agli avventori una specialità del raccolto o un prodotto locale del posto.
Insomma, una sagra dovrebbe esaltare qualcosa di locale e legato alla storia di un territorio. Ma, come già come nel caso delle De.Co, c’è molta confusione, per cui le sagre oggi sono spesso luoghi dove mangiare panini con la salamella e fritto misto e poca attinenza alle realtà del territorio.
Rischio abusivismo
Una libertà di interpretazione che ha anche dei punti negativi, come sottolinea Fipe: il rischio è che questi eventi, soprattutto se protratti nel tempo, causino abusivismo e concorrenza sleale alle attività di ristorazione locale.
Come spiega il presidente di Fipe, Lino Enrico Stoppani:
“I dati che riguardano il fenomeno delle sagre sono davvero impressionanti, ma ciò che ci spaventa di più è l’abusivismo dilagante. Sono tantissime le manifestazioni che non hanno requisiti di autenticità e non raccontano nulla dei territori dove vengono organizzate, mettendo da parte tradizioni e cultura in nome del profitto. Inoltre, c’è da segnalare che questi eventi generano un volume d’affari di circa 600 milioni di euro su cui non ci sono imposte e contributi, con grave danno, non solo per l’erario, ma anche per tutti quei pubblici esercizi che devono rispettare leggi molto stringenti in materia di fisco, di sicurezza alimentare, di igiene, di accessibilità per disabili. Se le regole non sono uguali per tutti le “finte” sagre diventano una concorrenza che erode spazio e mercato ai pubblici esercizi onesti, obbligati sempre e comunque ad avere tutte le carte in regola”.
In generale la Federazione non è assolutamente contraria a queste manifestazioni, ma con delle piccole precisazioni. Prosegue Stoppani:
“Crediamo sia importante dare priorità a quegli eventi enogastronomici con una riconosciuta valenza di tradizione, magari coinvolgendo gli operatori del territorio con la possibilità di creare partnership con i ristoranti della zona per proporre menù tipici ad hoc. Inoltre, sarebbe opportuno un intervento delle Istituzioni, con la creazione, da parte di ogni Regione, di un proprio registro delle sagre autentiche, per fornire ai Comuni delle linee guida da seguire“.
Anche se, visto quanto accaduto con le De.Co, sembra abbastanza difficile: nemmeno le denominazioni comunali sono regolamentate o fanno parte di un registro univoco.
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