I “Marck Caltagirone” del food. 5 cibi che non esistono o fake
di Alessandra Favaro
Ultima Modifica: 22/05/2019
Lo sapevi che le baby carote non esistono in natura? E che il wasabi che abbini al sushi potrebbe non essere quello che pensi? Oggi prendiamo spunto da una vicenda di gossip che sta appassionando gli amanti della cronaca rosa assumendo i toni del giallo (il mistero del fidanzato di Pamela Prati, che nessuno ha visto, attorno a cui imperversano profili fake e che alcuni dicono non esista proprio, dal nome Marck Caltagirone ndr), per introdurre un argomento molto serio: il cibo fake. Un modo scherzoso per dire che anche il mondo del food ha i suoi “Marck Caltagirone”.
Solo che in questo caso i cibi si vedono, si toccano, si fotografano, sono ben visibili. Ma in realtà non sono reali, ma frutto di lavorazioni e trattamenti ad hoc.
Colorati, dalle forme accattivanti, spesso dai nomi che richiamano la natura, eppure non esistono. Il frigorifero e la dispensa possono contenere alimenti che in realtà, anche se pensiamo siano autentici, non lo sono. Vediamone 5.
5 cibi che non esistono
Baby Carote. Lisce e perfette, tenere anche solo a guardarsi, le baby carote vengono vendute spesso confezionate in sacchetti oppure in vasetti in salamoia. Molti pensano che sia una specie “nana” delle comuni carote, ma sbucciata e pulita prima di essere confezionate. Insomma, delle carotine ripulite. Invece le baby carote in natura non esistono. E costano di più di quelle naturali perchè vengono sottoposte a un processo industriale prima di essere distribuite.
Le baby carrots sono “nella vita reale” carote grandi e storte. In passato servivano all’alimentazione degli animali d’allevamento, finché, all’inizio degli anni Ottanta, a Mike Yurosek, un agricoltore californiano, è venuta un’idea: provare a modellarle, magari producendo con una carota deforme più carotine. Ci ha provato ed è stato un successo, tanto che dall’America le vendite sono aumentate fino a contagiare anche altri mercati, italiano compreso. Le baby carote così carine però oltre a non essere naturali, richiedono un procedimento poco sostenibile per essere realizzate. Inoltre per avere quel bel colore arancione brillante, vengono immerse nella clorina, una sostanza tossica potenzialmente per l’organismo. E’ vero che poi vengono lavate, ma comunque si tratta di un alimento che dal processo industriale non ricava nulla se non essere esteticamente bello.
Surimi. Anche lui arancione ed esteticamente intrigante, con la polpa morbida bianca e quel sapore di mollusco ma non troppo, che colora e insaporisce i nostri piatti e insalate estivi. Secondo alcuni si tratta di “polpa di granchio” ma non è così. Il surimi non esiste, o meglio è un agglomerato di polpa di pesce arrotolata e tenuta insieme da addensanti di tipo alimentare.
La definizione giuridica di surimi è preparazione a base di proteine di pesce. (fonte Wikipedia ). Il surimi è un composto alimentare ottenuto mescolando parti tritate di alcuni pesci, come il merluzzo, con carboidrati, addensanti, coloranti e conservanti per ottenere dei cilindretti dall’interno bianco e l’esterno arancione. Leggete con attenzione l’etichetta: noterete che spesso purtroppo tra i suoi ingredienti non mancano: sorbitolo, zuccheri, glutammato monosodico, e aroma artificiale di granchio.
Cuori di Palma. Bianchi, venduti solitamente in vasetti in salamoia, i palmitos sono un prodotto poco conosciuto in Italia eppure molto versatile in cucina. Eppure non sono “cuori di palma” . O meglio, non derivano esclusivamente dalla palma.
Vengono prodotti con la parte interna del tronco di molte piante come il cocco, il babacu, la jucara e la palma, che hanno almeno 15 anni dove il loro “midollo” viene sottoposto ad un processo di bollitura per poi essere conservato.
Wasabi. Verde brillante dal sapore estremamente balsamico, il wasabi, quello vero, si ricava dal rizoma di una pianta, la Eutrema Japonicum, o ravanello giapponese, che cresce spontanea vicino ai fiumi delle zone di montagna del Giappone. Spesso però quello che consumiamo assieme al sushi è un surrogato, un’imitazione composta da radice di rafano e colorante verde. Insomma, quello vero, probabilmente non lo avete mai assaggiato.
Olio al tartufo. Su questo va fatta una precisazione, e l’etichetta, o la conoscenza del produttore o del punto vendita, saranno le uniche indicazioni affidabili per farti distinguere un olio aromatizzato vero da quello fake. Spesso infatti, soprattutto se il prezzo è molto basso, l’olio denominato “al tartufo” non è davvero al tartufo, ma ne contiene solo l’aroma e il profumo. Viene utilizzato molto ma non sempre è un ingrediente di qualità. Quando si compra un alimento che richiama il pregiato fungo ipogeo, in diversi casi si tratta di un prodotto con un un aroma fatto in laboratorio. L’odore nel cibo nei prodotti a base di tartufo bianco infatti è dato dall’aroma di sintesi bismetiltiometano che dovrebbe rappresentare le 40 componenti del prodotto. Questo aroma può essere estratto dal tartufo con costi elevati o prodotto in laboratorio a costi i decisamente inferiori. È importante sempre controllare la lista degli ingredienti nelle confezioni: a volte si nota che la percentuale di tartufo è quasi nulla, attorno 0,5% sul peso totale.
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