I mercati di Sicilia: capire la cucina siciliana a Ballarò
Un giorno al mercato di Ballarò; cosa comprare, cosa assaggiare e cosa sapere per gustarsi appieno questo simbolo della cultura siciliana
di Informacibo
Ultima Modifica: 28/11/2018
Molti sono i meriti della cucina siciliana, alcuni imprevedibili. I mercati siciliani sono un’esperienza imperdibile per entrare in quei sapori e colori tipici dell’isola e della sua storia. Dal mercato alla tavola, curiosare tra le bancarelle per scovare le tipicità e valorizzarle in cucina oggi è un must.
Come sono cambiati i tempi: nel 1966, il Ristorante Sporting di Mortelle fece scalpore, in quanto si presentò a Lecco in Brianza nella finale del concorso nazionale del Cuoco d’Oro con la ricetta delle “braciole di pesce spada” – allora piatto inconsueto per la zona: entusiasmò tutti e vinse. Le fette di spada si presentavano ripiene di altro pesce, provolone, uova, basilico, un servito che sbaragliò i sapori classici del nord mettendo in evidenza la vivacità di un’arte che riunisce le esperienze di almeno tre gastronomie.
Nei mercati della Sicilia si trova tutto il meglio che offre l’isola: ovini, formaggi, carni alla brace, retaggio della antica Grecia; la fantasia dei dolci arabi; la cucina spagnola/aragonese evidente nelle cassate di ricotta e pasta di mandorle. Su questa terra hanno dominato e mangiato fenici, greci, arabi, romani, svevi, normanni, francesi, spagnoli e che tutti hanno lasciato traccia di sé.
I mercati siciliani: cosa si trova
Da così lontane e antiche esperienze sono nati i mercati dell’isola che appaiono in tutta la loro schiettezza, vivi e particolari, immersi in un odore intenso di sale, carni, insaccati, verdure, tanto vivaci da stordire. Bisogna esserci stati almeno una volta per carpirne l’atmosfera. Travolti dalla corrente umana, all’inizio ci si addentra con un po’ di timore e tanta curiosità, sbigottiti dal richiamo dei venditori le “abbanniate” una cantilena antica che profuma di oriente. Cosa si trova? La curiosità fa strada e si prosegue come presi da incanto. Primo sbigottimento le “carnezzerie” ovvero i grossi tagli di carne appesi fuori dalle botteghe che non hanno nulla a che vedere con le bistecche confezionate al supermercato. Barbecue enormi grigliano carne, hamburger, salsicce, cipollate, l’odore di fumo si mischia a quello di kebab ed al fritto onnipresente.
La pescheria ci avvolge di odore di mare, i banchi di pesce sono numerosi, uno accanto all’altro. Tutti contrattano a gran voce. il pesce spada mostra la sua arma senza timidezza, i crostacei muovono le chele, sacchi enormi di cozze, vongole, lumachine. I frutti di mare freschi di nottata – a dispetto di ogni regola – vengono assaporati col limone, in un boccone. Lo scroscio di secchiate di acqua di mare versate sul tutto, fa pensare ad una maggior freschezza, una tolleranza briosa e incosciente che tutti vedono, ma che nessuno vede. Montagne di alici, sarde e pesci dai nomi inconsueti luccicano, pescato a basso costo ottimo e sostanzioso in attesa di essere acquistato dalle massaie che valutano con occhio attento, disincantato e critico.
Un giorno al mercato di Ballarò
Il mercato siciliano da vedere per eccellenza è l’indimenticabile “Ballarò” a Palermo. Sempre uguale da mattina a sera in ogni giorno della settimana da almeno dieci secoli, nato dall’estro commerciale dei mercanti arabi.
Le origini
Che significato dare al nome? Le versioni ufficiali non esistono, di ufficiose una marea. C’è chi lo conduce ad un villaggio vicino a Monreale di nome Balhara, chi lo fa derivare dal titolo regale dei sovrani del Deccan, regione dell’India da dove provenivano le spezie, altri ai nomi di particolari piatti di origine orientale. Percorrendolo tutto stupisce, in certi punti sembra una enorme cucina: tonno e pesce spada vengono cotti ai ferri, lessati, ma anche “in ghiotta” ovvero in umido con olive, pomodori, cipolle e capperi . Sarde spinate e fritte “a linguata”, cioè a forma di lingua, olio, uva passa, pinoli, acciughe gratinate al forno. Sarde a beccafico, ripiene di pane, zucchero, cannella, uva secca, pinoli, cotte in tegame. Il piatto simbolo della città è a “caponata” che ti lascia in bocca l’agrodolce misto al sapore di olive, pomodori e capperi.
Tra i banchi
Gli odori sono importanti e misti, banconi con sacchi e montagnole di spezie, pepe, cardamomo, coriandolo, noce moscata, che ti riportano all’altra sponda del Mediterraneo, la storia si intreccia e senti lo scorrere del passato che ha dato vita a questo caotico e godereccio risultato. Le verdure fresche e profumate di campagna rendono i banchi allegri, coloratissimi. Guardandoli ti sembra di assaporare il gusto di pomodori, melanzane, peperoni, zucche, zucchine, finocchietto ed ogni specie di prodotti autoctoni come i “tenerumi” preziosi germogli di zucca lagenaria.
Le fave migliori sono le Larghe di Leonforte che in estate sono vendute fresche, mentre in inverno vengono conservate schiacciate, compatte e diventano “u maccu” un crema mista a cicoria e finocchietto selvatico. Il carciofo lo troviamo fresco, ma anche bollito dagli stessi fruttivendoli che li propongono insieme alle patate. Banchi di arance, limoni, fichi d’india, distese di frutta secca mandorle e pistacchi che si tramutano in dolcissimi pasticcini. Ti vengono incontro montagne di olive sistemate a piramide quelle verdi e sode, in mucchio le “grinzose”, le nere.
Le panelle
Dal 1834 (è scritto sotto l’insegna), l’Antica Focacceria S. Francesco invita ad assaggiare le pannelle, focaccine di farina di ceci o di fave fritte in olio bollente inserite in un panino da mangiare all’istante. Ingolosisce con le pizzelle, piccole pizze di “pasta cresciuta” fritta anziché cotta in forno, condita con un cucchiaio di sugo di pomodoro e basilico, grana e provolone.
Locali ricavati da angoli impensabili, arredati con banconi e sedie di plastica dove la folla si affanna intorno a bracieri di stigghiole, spiedini di budella di agnello, vitello o maiale, panieri di frittole, non propriamente indicati come cibi leggeri. In grossi calderoni, immersi nello strutto bollono e ribollono tranci di milza e polmone. Si prepara la meusa. Nella versione “schietta” il composto a fettine viene inserito in una calda pagnottella (la “vastedda”), nella versione “maritata” la vastedda si arricchisce di ricotta o caciocavallo. Le tavole calde propongono cartocciate, arancini, sfoglie, calzoni, pizzette, leccornie che, a pochi euro, saziano quanto un pranzo.
Curiosità
Con stupore scopro che proprio a Ballarò nel 1743 nacque Cagliostro, mago, alchimista, avventuriero, il cui vero nome era Giuseppe Balsamo, ma che senza alcun pregiudizio si attribuì il titolo di Conte. Di lui si sa tutto e niente, pare abbia fondato un ordine massonico, abbia girovagato nel bene e nel male per il mondo di allora, ma è proprio in questo luogo che si trovano indicazioni per visitare la sua casa.
Uscita da tanta vitalità, mi accosto ad una bottega e mi viene offerto l’assaggio dei prodotti tradizionali di una delle migliori aziende agricole che ha fatto tesoro di ricette tipiche, servendosi dei prodotti più genuini: la Alicos di Salemi. Conserve di ogni specie, Paté di Pesce Spada Affumicato, il Capuliato, un antipasto piccante, la Caponata di Mele, la Crema di Finocchietto selvatico, il Pomodoro ciliegino semisecco, nelle quali si apprezza l’impiego di 0lio extra vergine di Oliva Halicos, ottenuto dalla spremitura a freddo di olive raccolte a mano nel territorio di Salemi. A tanto salato, aggiungiamo una vasta realizzazione di prodotti a base di pistacchio di Bronte e la Marmellata di Mandarini di Sicilia dal profumo delicato ed intenso.
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