Milano città di “acqua” e la tenacia dei milanesi.
di Informacibo
Ultima Modifica: 27/04/2016
E’ una lotta che ha messo e mette a dura prova la resistenza dell’acqua e la testardaggine dei milanesi che, attraverso i secoli, hanno trasformato l’acqua, da possibile disagio, in opportunità di servizio. La pianura ha sempre prodotto benessere, quali la coltura del riso, di cereali, di verdure ortofrutticole, senza dimenticare il gelso per i bachi da seta. Ma il benessere richiedeva grandi lavori: prosciugare paludi, irrigare coltivazioni, produrre foraggio per gli animali da allevamento, far funzionare i mulini per la lavorazione della farina, in un epoca in cui non esistevano macchine movimento terra ed elettricità. La costruzione del Duomo iniziata nel 1386 (la Veneranda Fabbrica è tuttora operativa) necessitava il trasporto del marmo estratto a Candoglia sul lago Maggiore, sabbie, legnami e quant’altro. Perché non usufruire di canali e navigli? Chiatte e imbarcazioni si prestavano al trasporto di persone, merci e materiali. Andar per acqua snelliva i disagi, tanto che nei tempi andati la città era dotata di un porto in grado di arrivare sul Po e da lì all’Adriatico.
La lotta per usufruire delle acque fu titanica. La pianura sembra piatta, ma non è così: fra il centro città e la periferia esistono dislivelli, da qui la necessità di costruire le chiuse per permettere la navigazione dei canali. La costruzione del Naviglio Grande risale al 1179. E’ lungo una cinquantina di chilometri, nasce dal Ticino e finisce nella darsena di Porta Ticinese. Ha un dislivello di 34 metri. Sotto gli Sforza la città visse gran fervore economico e politico, fattori determinanti nell’evoluzione produttiva. Dislivelli delle acque e difficoltà di ogni genere furono superate dal genio di Leonardo a Vinci dalla testardaggine dei milanesi. L’importanza delle acque non era solo “fatica e lavoro”: le stesse delimitavano le linee di confine dello stato e, se necessario, servivano alla sua difesa.
In tempi più recenti, parliamo del secolo scorso, l’espansione della città costrinse i milanesi a nascondere nel sottosuolo molta parte delle acque formando una inimmaginabile reti di canali. La cerchia dei navigli oggi è un percorso di strade che in passato era il fossato difensivo della città medievale, allora navigabile. Non un fossato putrido e paludoso, ma acqua viva popolata di pesci. Il centro della città situato all’interno dei bastioni, ora scomparsi, mettevano in mostra canali che percorrevano S.Marco, via Monte di Pietà, via Senato, via Montenapoleone, via Durini e molto di più.
La corsa del tempo, la modernità, l’urbanizzazione divennero sempre più esigenti. Il traffico della Darsena di Porta Ticinese aumentava in parallelo allo sviluppo edilizio della città. Nel secolo scorso a Rogoredo, dove buona parte delle acque si raccolgono prima di avviarsi verso il Lambro, si decise di ricostruire il porto e nacque l’Azienda Portuale di Milano. Ora il porto meneghino è in “momento di attesa”, ma non è da escludere che prima o poi riprenderà vigore, magari sotto un aspetto turistico o paesaggistico.
Tra la pianura lodigiana e la bassa pavese si eleva la collina di San Colombano, una minuscola enclave del Comune di Milano. E’ la parte collinare del basso milanese interamente coltivata a vigneti che si estendono a semicerchio intorno a questo borgo che deve il suo nome all’Abbazia medioevale di Bobbio di San Colombano. E’ un luogo piacevole, ameno, rilassante. Il vino meneghino porta il nome di questa incantevole località: “San Colombano Doc” ed ha l’obbiettivo ambizioso di raggiungere una classe enologica sempre più selezionata.
Il Consorzio Volontario Vini DOC San Colombano è stato fondato nel 1987, riunisce una ventina di aziende che coprono i 129 ettari di vigneti, la superficie tutelata iscritta all’albo, con una produzione complessiva annua di circa 121 mila bottiglie.
Questi vini si contraddistinguono per l’intensità del colore, struttura e note olfattive, eleganza, freschezza e stabilità nell’invecchiamento.
La coltivazione della vite e la produzione del vino a San Colombano è da secoli una prerogativa del colle e degli abitanti. L’imperatore Corrado I menziona queste vigne già nel 918 nel “privilegio Conae”, ma è nel periodo visconteo che sono più precisi i documenti che testimoniano lo sviluppo della vitivinicoltura. Una vera colonizzazione del colle si evince da un “diploma” del 19 novembre 1371, anno in cui si dette inizio alla bonifica di queste terre.
I vini ”San Colombano Doc”, rosso, bianco e rosso riserva, esaltano i piatti di salumi e formaggi. Salumi come i verzini, cacciatorini, salame di filzetta e salame Milano a grana fine preparato con carni di bovino e suino. Ricchissima è la gastronomia del territorio che va dalle indiscusse specialità meneghine quali il panettone e il risotto per sfociare nella polenta, i tortelli, la trippa, il cappone col ripieno alle noci, l’oca arrosto, la carpa e l’anguilla in umido, gli ossibuchi, la cassoeula. Ottimi i formaggi: un lungo percorso che va dal grana lodigiano al mascarpone, il pannerone, il quartirolo. Tradizionali dolci come la tortionata, la torta paradiso, la sbrisolona, i biscotti, i calissoni , gli amaretti, dolci arricchiti dalla raffinatezza dello zabaglione e dalla charlotte di mele.
La collina “Banina” è l’unica area vitivinicola della provincia di Milano, fiore all’occhiello della città ed offre ai visitatori un ambiente suggestivo che unisce la bellezza del paesaggio ai vari siti storici.
Domenica 1° maggio 2016 viene proposto un itinerario che porterà a scoprire le tre facce del borgo, quello geologico, quello botanico e il vitivinicolo. Partenza alle ore 15 presso la Madonna del Latte in fondo a via Tiziano. L’evento è gratuito e prevede una merenda conclusiva.
Associazione “il Borgo e il Colle”, San Colombano – tel. 037 1898265. (
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