Le Tavernelle di via Panisperna, 48 by Mimmo e Franco
di Informacibo
Ultima Modifica: 11/10/2013
di Donato Troiano
Roma 6 ottobre 2013. Carlo Lizzani aveva 91 anni e lo ricordo come uno dei nostri registi che meglio ha saputo raccontare nei suoi film la guerra e la rinascita dell’Italia.
Ne parlo al passato perchè oggi mentre arrivo a Roma i giornali scrivono ampiamente del suo suicidio messo in atto nella giornata di ieri nel quartiere Prati.
Il suo tragico gesto mi ricorda la tragedia di un’altro grande regista, Mario Monicelli, suicida nel 2010, nel suo amato quartiere Monti, che ora sto attraversando per andare ad una riunione dei Vas, l’associazione ambientalista presieduta da Guido Pollice, che si tiene nella sede della FITEL Lazio in via dei Serpenti 35, all’angolo con via Panisperna in pieno quartiere Monti.
E girando in questo pezzo di Roma, vicino alla Stazione Termini, tra viuzze e strette stradine, tra palazzi rinascimentali e bellissime fontane, tra grandi caffè e case anonime, non posso fare a meno di ricordare un documentario girato proprio da Monicelli, che in questo quartiere ha vissuto, e presentato nel 2008 fuori concorso alla 65ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, dall’esplicito titolo: “Vicino al Colosseo c’è Monti”. Come a dire che vicino alla «maestà der Colosseo» si può ancora scoprire la vita concreta della gente di questo quartiere, Monti appunto (così descritto su Wikipedia: “In epoca romana la zona era densamente popolata: la parte alta del rione (dalle Terme di Diocleziano alla Suburra, appunto era costituita da domus signorili e denominata Vicus patricius (oggi Via Urbana), mentre nella parte bassa e pantanosa – la Suburra, appunto – vivevano i plebei, e la zona era fitta di lupanari e locande malfamate….…Dal Medioevo fino agli inizi dell’Ottocento il rione rimase essenzialmente una zona ricca di vigne e orti, poco popolata per la scarsità d’acqua e per la lontananza dal Vaticano, centro culturale di quel periodo. L’unico fattore che fece sì che la zona non diventasse totalmente inabitata era la presenza delle basiliche di San Giovanni in Laterano e di Santa Maria Maggiore: il continuo afflusso di pellegrini garantiva sempre un cospicuo numero di persone sul territorio ”).
Nel documentario di Monicelli (QUI) appaiono le partite a carte del centro anziani, la collezione di fumetti del macellaio di via dei Serpenti, le chiacchiere alla bottega del barbiere, la Pasqua degli ucraini, i passi faticosi di un anziano, le botteghe artigiane, i barboni e i ragazzi sfaccendati, la sorpresa di un bambino che si tura le orecchie a sentire lo scoppio dei fiati della banda per la festa del rione. E c’è anche Lei, la Madonna dei Monti, e la sua bella immagine duecentesca che passa per le strade del quartiere portata a spalle dalla confraternita dei monticiani, e dietro la folla della gente comune. E in questo angolo suggestivo di Roma Monicelli non poteva non mettere sotto i riflettori della sua cinepresa anche il Ristorante Le Tavernelle di via Panisperna al 48.
Le Tavernelle di via Panisperna, 48 di Mimmo & Franco
Anche noi oggi siamo in questo locale, accolti, in un ambiente davvero suggestivo con quel suo tono un po’ retrò, dai due giovani patron, Domenico Galati e Franco Alonzo, alias “Mimmo & Franco”, (come è scritto sul biglietto da visita, uno calabrese e l’altro romano). Ambedue hanno rilevato questo ristorante da Nicola Ambrosini, un vero Signore della ristorazione romana, un gran commis de cusine, abruzzese di Monteferrante, un piccolissimo paesino, solo 176 anime, in provincia di Chieti. Ambrosini, che ora vive in Svizzera, ha lasciato il ristorante cinque anni fa e lo ha lasciato in buone mani.
Le Tavernelle ha tanti anni sulle spalle, “Dal 1870” è scritto nell’insegna, e c’è n’è passata di gente per questa porta! Negli ultimi settant’anni c’è passata la Scienza, con i ragazzi di via Panisperna, i Fermi, i Segre, i Pontecorvo e poi i politici, Giancarlo Pajetta e il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano che abita proprio in questo quartiere e poi, gli attori, la gente del cinema, con Federico Fellini in prima linea. Sulle pareti del locale viene raccontata la Roma degli anni 60-70, della dolce vita mitica invenzione di Fellini, ma anche l’Italia della rinascita e del miracolo economico.
Il Grand Hotel di Rimini disegnato da Federico Fellini
Proprio sulle pareti del locale, stracolme di quadri e di foto di clienti Vip, c’è il racconto della Roma di allora e anche un bellissimo schizzo con dedica al Ristorante del Maestro Fellini ove appare l’Hotel del suo cuore, il Grand Hotel di Amarcord. Magnifico!
Poi, Mimmo e Franco ci porta in una piccola saletta e qui, ci dicono, “proprio in questo tavolo, si sedeva Mario Monicelli”, e sua moglie, aggiunge Mimmo, proprio recentemente “mi ha portato un ritratto di Mario con la scritta “A Franco e Mimmo”, perchè diceva, “io mi siedo solo qui….” e noi gli lascevamo sempre libero il suo posto.
Più recentemente nel locale è entrato per gustare i passatelli anche l’archistar spagnolo Calatrava, anche lui ha lasciato uno schizzo di ringraziamento, che Mimmo e Franco ci mostra con un certo orgoglio, e aggiungono: “Calatrava ci ha promesso che presto tornerà assieme alla sua famiglia a gustare le nostre bontà culinarie e noi li accoglieremo con grande simpatia”. Un’altro grande personaggio che si aggiunge alla lunga lista di questo storico locale.
Però, parlando della zona, dei personaggi e della storia di questo quartiere ci siamo dimenticati di parlare dell’aspetto gastronomico di questo piccolo gioiello di locale. Qui troverete la cucina intesa come sentimento e passione. D’accordo qui c’è sempre ressa, i tavoli sempre occupati, sono oltre le quattordini e mezza e il locale è ancora pieno di gente, perchè qui non solo trova amicizia ma trova anche un menu lungo come un intero quartiere dove ognuno può trovare quello che cerca.
Alcuni piatti. Sublime il bucatino alla matriciana e i carciofi alla giudia. E poi, tutto l’ampio panorama della gastronomia capitolina: puntarelle, rigatoni alla carbonara, abbacchio, straccetti e mezzamaniche alla gricia. Qui insomma troverete molte, moltissime ricette con sapori ormai dimenticati e ancora oggi, non solo ai tempi di Ambrosini, c’è un via vai di gente di Cultura, di attori, di attrici, di gente (tanta gente) dello spettacolo.
Salutiamo Mimmo e Franco e ci incamminiamo per il centro del centro di Roma, Fontana di Trevi, per portarci infine da Giolitti, vicino al Parlamento, a gustare il miglior gelato di Roma. Ed ora il treno per Parma ci aspetta.
Ristorante Le Tavernelle” di Franco & Mimmo
Via Panisperna 48 00184 – Roma
tel: +39 06.47.40.724 -fax: +39 06.47.40.724
e-mail: [email protected]
Quando Fellini si rintanava per gustare tortellini e passatelli
(da Il Tempo 2 gennaio 1997)
La fotografia di Fellini che abbraccia Benigni, e poi un poco tutto il cinema e il teatro italiano, da Sofia Loren a De Sica, da Sordi a Mastroianni, su queste pareti.
È il ristorante “Le Tavernelle” di via Panisperna, luogo frequentatissimo dalla gente dello spettacolo che, in genere, è gente dal palato molto esigente
E lui Nicola Ambrosini, proprietario e cuoco, maitre e cultore della buona tavola, conosce a menadito i loro gusti, e a soddisfarli ci mette un amen.
«Le Tavernelle hanno 120 anni circa – dice soddisfatto e sicuro – c’è n’è passata di gente per quella porta. Negli ultimi settant’anni c’è passata la Scienza, con i ragazzi di via Panisperna, i Fermi, i Segre, i Pontecorvo che peraltro frequentavano anche altri locali della zona. E, poi, gli attori, la gente del cinema, Fellini in primo luogo»
L’ha conosciuto personalmente il grande regista, era un estimatore della sua alta classe di gran commis de cusine: «Adorava, ovviamente, la cucina delle sue parti, l’Emilia, passatelli, tortellini e via così. Uomo alla mano, ma non dava confidenza a tutti. Qui passavano (e si fermavano) anche noti personaggi della politica, per esempio Paietta»
Ambrosini è uno di quei rarissimi cuochi che, nelle grandi serate, potrebbe coprirsi delle “decorazioni” ottenute sul campo di battaglia della grande cucina internazionale. Eccolo fotografato mentre – in Inghilterra – gli consegnano la Laurea honoris causa per benemerenze legate alla sua attività, e poi, in Campidoglio nell’atto di venire insignito della Chaine de Rodisseur, ovvero la catena di ristoratore, una catena che si appende al collo con le croci nobiliari d’un tempo. Attorno, facce gravi e serie, come si conviene.
«Mi hanno dato anche la cintura di Maitre – confida il nostro uomo – e nelle gare culinarie ho sempre fatto, come si dice, “full, il pieno mietendo i maggiori successi. Del resto i miei piatti parlano per me come il delizioso e profumatissimo “rombo alla vernaccia” o la straordinaria cacciatoria di vitello. Insomma “chi sa mangiare sa vivere”. Lo diceva sempre il mio indimenticabile amico Federico Fellini»
Nicola Ambrosini, patron e chef del Ristorante Le Tavernelle
Nicola Ambrosini, un “ragazzo” tutto pepe; arte culinaria nel sangue e tanti onorifici e accademici appesi alle pareti.
Al Ristorante Le Tavernelle di via Panisperna 48 è un via vai di gente di Cultura, di attori, di attrici, di gente (tanta gente) dello spettacolo.
Lui – tuttavia – sa offrire a ognuno, tanta cordialità, senza dimenticare l’umiltà dell’accoglienza e la saggezza della cordialità.
Nella foto, posa con Renato Ramponi, Presidente della Federazione Italiana Cuochi.
Ha vinto il Nastro Blu negli anni 1992/93/95 per i migliori piatti. Nel 1996, a dicembre, s’è guadagnato l’Ercole d’Oro per la cucina, mentre in Vaticano, sempre nel 1996 ha ricevuto la Medaglia d’Argento. Recentemente, gli è stata conferita la Laurea Honoris-Causa in Economia e Commercio per i meriti ottenuti in Arte Culinaria.
***
PS: In questa domenica dei ricordi apprendiamo che nella notte è morta Bruna Bellonzi, la moglie di Sandro Curzi, che abitava proprio nel quatiere Monti, in via Madonna dei Monti n.8. Fino all’ultimo ha diretto la rivistina del suo Quartiere “Rione Monti”. Ciao Bruna.
Rione Monti diretta da Bruna Bellonzi
La vogliamo ricordare con questo scritto di Luciana Castellina apparso sul quotidiano Liberazione online
Ciao Bruna, ti sei spenta con un sorriso
Bruna Curzi un tempo si chiamava Bellonzi, ma i suoi amici più giovani forse nemmeno lo sanno. Non, per carità, perché Bruna fosse appannata da suo marito Sandro, che, anzi, la sua presenza era grintosa ed autorevole e il primo a tenerne conto era proprio lui, che non gli ho mai visto fare qualcosa o prendere una decisione senza essersi, e a lungo, consigliato con sua moglie. Se quel cognome era alla fine diventato comune era perché con gli anni fra i due si era creata una tale unità che alla fine era difficile distinguerli: erano i Curzi (né – le usanze essendo tenaci anche per chi non è conservatore – sarebbe stato ipotizzabile che fosse stato Sandro a esser chiamato Bellonzi).
Se tiro fuori questa storia dei cognomi è perché quello originario di Bruna mi riporta a un tempo lontano, quello della nostra comune giovinezza, prima che incontrasse il Curzi fatale. Erano i tempi della nostra gloriosa sezione Universitaria di Roma; della Federazione giovanile comunista degli anni ’50, che aveva quasi 500.000 iscritti, fra loro gli studenti oggi dilaganti erano solo mosche bianche: il 2%, il resto mezzadri e operai.
Bruna di quel tempo è stata una protagonista, e Sandro, del resto, lo incontrò proprio per via di quella militanza, un rapporto che poi si suggellò al Festival Internazionale della Gioventù che quell’anno si teneva nella capitale magiara. Doveva essere, se non ricordo male, il ’53. Di questo suo “fidanzamento impegnato” mi raccontò subito al ritorno, eravamo amiche e compagne; e tali siamo rimaste per più di mezzo secolo. Dopo l’Università assieme nella stampa comunista, poi per sintonia politica, nonostante le turbolenze che a cominciare dalla fine degli anni ’60 e poi fino ai tempi di Rifondazione hanno accompagnato la vita dei comunisti. Accomunate anche dal comune mestiere di giornaliste, che lei ha autorevolmente svolto, per molti anni, al settimanale Il Mondo.
Apprendere ora della sua scomparsa, pur dolorosamente prevista per via della lunga malattia che l’aveva colpita, mi prende al cuore. E mi riporta dentro anche il dolore non sopito della morte di Sandro (che senza Bruna, sia detto per inciso, non avrebbe potuto essere quella persona straordinaria che tutti ricordiamo).
La nostra generazione comunista ha avuto una vita politica lunga e intensa, nonostante tutto molto bella. Così è stato anche per Bruna. Ricordiamola così: fiduciosa ma ironica, diretta nei suoi giudizi (non faceva sconti a nessuno), sempre positiva. Sua figlia Candida dice che anche nel momento del trapasso le sue labbra si sono aperte a un sorriso.
Luciana Castellina
Condividi L'Articolo
L'Autore