25 anni di ristorante Birichin: intervista a chef Nicola Batavia
di Alice Bignardi
Ultima Modifica: 19/04/2018
Il ristorante ‘l Birichin, dello chef Nicola Batavia, a Torino, compie 25 anni; che per una persona significa essere nel fiore della gioventù, ma per un locale significa averne già tantissimi. Un’attività lunga una generazione, stesso titolare e stesso indirizzo. Le uniche due cose rimaste uguali del Birichin che, invece, si è evoluto continuando a mantenersi vivo e brillante per un quarto di secolo.
25 sono molti anni per un ristorante, perché tanti altri non ce la fanno?
In un così ampio lasso di tempo, cambia tutto: le abitudini di consumo, l’approccio del cliente, persino il suo modo di mangiare. Il ristorante – e quindi lo chef – che non segue questo cambiamento, semplicemente, chiude. Per questo motivo, il format di un ristorante deve continuamente rinnovare la propria offerta sulla base di quanto si osserva nel consumatore.
I clienti che venivano al Birichin 25 anni fa non sono certo gli stessi di oggi. Questo ristorante ha avuto modo di osservare un vero e proprio ricambio generazionale. È ovvio, quindi, che ciò che andava 25 anni fa, non può andar bene oggi. Non tutto, almeno. Ci sono piatti che sono nel menu dal giorno dell’apertura, come l’uovo in camicia su tortino di patate con fonduta, nocciole e cacao.
Per questo mi impegno a seguire le tendenze, i clienti e tutte le novità del momento.
Quindi uno chef deve seguire le mode?
No. Lo chef coglie e, per quanto possibile, anticipa le nuove tendenze cercandole ovunque – non solo tra i clienti del proprio ristorante – documentandosi ed educando a sua volta il consumatore. Ma deve tenere gli occhi aperti.
Da qualche tempo, ad esempio, i menu degli chef diventano sempre più vegetariani e i piatti si concentrano su un solo ingrediente. Dieci anni fa, questa tendenza non era affatto evidente, né scontata, al contrario.
Oppure, possiamo parlare della cucina a vista che oggi va tanto di moda. Vent’anni fa era impensabile dare al cliente l’occasione di sbirciare quello che avveniva in cucina. Oggi è quasi d’obbligo. E noi, il vetro che ci separa dalla sala, lo abbiamo messo 18 anni fa.
Oggi, c’è la questione del take away, che va semplicemente interpretato come una nuova tendenza, quando ancora molti chef pensano che siano un’attività svilente per il proprio ristorante.
E tu come fai a scovarle e capirle?
Soprattutto attraverso i viaggi che, a mio parere, sono l’unico modo che abbiamo per capire in che direzione va il resto del mondo e rimanere sempre aggiornati sulle tendenze e i gusti che, prima o poi, raggiungeranno anche l’Italia, anche grazie a chi se ne fa ambasciatore.
La cucina a vista è una tendenza che ho potuto osservare a Londra nel 1993, prima di tornare a Torino, ad esempio.
Che sia una conferenza per addetti ai lavori, una mia consulenza all’estero, una fiera o un’occasione importante, io ricavo sempre del tempo per andare nel maggior numero di ristoranti, parlare con più colleghi possibile e, ovviamente, far uscire il Birichin al di fuori dei confini italiani.
Fino a qualche tempo fa, inoltre, durante il periodo di chiusura del Birichin andavo a lavorare nei ristoranti in tutta Europa, a Lione, Londra e San Sebastiàn.
La mia formazione continua così e va di pari passo con la promozione della mia cucina.
Come si traducono tutte queste informazioni nella strategia del Birchin?
Prima di tutto nel menu. Oggi, da ‘l Birichin si possono trovare quattro menu. Il primo è dedicato alla nostra tradizione e include i piatti storici del ristorante; questo è il più apprezzato da turisti e stranieri e ciò significa che la nostra cucina è effettivamente riuscita a passare la frontiera. Il secondo è dedicato all’innovazione; questo è il più richiesto da giovani torinesi, i figli di quelli che venivano 25 anni fa. Il terzo è dedicato al viaggio e alle contaminazioni che porto a casa dal mio peregrinare. Il quarto è di stagione ed è dedicato al pesce mediterraneo.
Poi ci sono la gestione e l’investimento sul marketing. Sono stato cliente di una vera e propria agenzia di comunicazione per qualche anno. Poi ho capito che il Birichin è un brand e che in quanto tale deve essere editore di contenuti. Perciò, adesso lavoro con una persona che si occupa della gestione e dell’aggiornamento del sito del Birichin e del The Egg (il mio progetto di bistrò lanciato nel 2014), della mia pagina chef, dei miei social (tra cui Facebook e Instagram) e di tutti gli altri canali di comunicazione online.
Anche io faccio la mia parte nel campo della comunicazione, perché il passaparola è ancora un aspetto fondamentale nel marketing di un ristorante.
E chi fa quadrare i conti del Birichin?
Ho ben chiaro che la buona gestione di un ristorante permette di pagarne le spese con gli utili ricavati, senza dover ricorrere all’introito proveniente da altre collaborazioni, consulenze, fiere o altri progetti.
Io sono chef, ma anche imprenditore. E non è che avessi scelta, volendo aprire un ristorante.
Cerco l’ispirazione in viaggio e poi torno in cucina per dedicarmi alle mie creazioni, sono sempre lì, dove mi si può vedere, a cucinare tutti i giorni.
E quando l’ultimo cliente se n’è andato, faccio quadrare i conti.
Ho ben chiaro che la buona gestione di un ristorante permette di pagarne le spese con gli utili ricavati, senza dover ricorrere all’introito proveniente da altre collaborazioni, consulenze, fiere o altri progetti.
Il Birichin deve essere autosufficiente, ma per andare avanti, come detto, deve evolversi. Il modo più semplice per far sì che ciò accada è creare un universo di progetti satellite che mantengano sempre viva la cucina e l’interesse delle persone che vi lavorano.
Ma tutto deve sempre partire dal Birichin. Un piatto che porto in Cile, ad esempio, nasce al Birichin, perché l’attività del ristorante deve essere sempre inclusa in tutte quelle collaterali.
Come immagini i prossimi 25 anni di Birichin?
Sempre più in viaggio, anche per via della clientela che cambia sempre più e arriva da tutte le parti del mondo. Dal Birichin si scopre il nuovo mentre si assaggiano anni di storia e cos’è questo, se non un magnifico viaggio.
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