Castelmagno, una Dop ricercata. Ma ancora poco conosciuta
di Redazione Informacibo
Ultima Modifica: 19/03/2018
Il Castelmagno è uno dei formaggi Dop più antichi e ricercati nel nostro Paese. Conosciuto, ma non troppo. E’ un prodotto tipico piemontese lavorato, trasformato e stagionato in un fazzoletto di terra largo 15 km nell’alta valle grana, nei pressi di Cuneo. Sono 8 le aziende, di cui una cooperativa costituita da 4 piccole realtà, socie del Consorzio della Tutela del Castelmagno Dop. Tutte insieme danno lavoro a circa 100 persone tra diretti e indotto, incluso 12 allevatori che riforniscono il latte – oltre 3.286 tonnellate/anno – per produrre 231 tonnellate di formaggio equivalenti a 37.671 forme nel 2017.
“In parte, vendiamo il formaggio ai grossisti. Qualcosa – molto poco – all’estero, ma solo per i ristoranti. Il grosso lo realizziamo in Italia”, spiega Evanzio Fiandino, presidente del Consorzio di Tutela Formaggio Castelmagno Dop, numero uno di Assopiemonte Dop e Igp, nonché titolare dell’azienda Labruna. Quali sono i vostri punti di forza? “La tecnica di trasformazione, la stagionatura ed essere una Dop ancora poco conosciuta”.
“Siamo piccoli e vogliamo restarci”
Fiandino: “Siamo piccoli
e vogliamo restarci”
“Siamo piccoli e vogliamo restarci”. Lo dice quasi sotto voce Evanzio Fiandino, presidente del Consorzio di Tutela Formaggio Castelmagno Dop e titolare dell’azienda Labruna, un pezzo di storia dell’alta valle grana, dove nasce come caseificio a ridosso della Grande Guerra fino a diventare oggi una realtà produttiva indipendente, che fa tutto in “casa”: dal latte al formaggio finito.
Perché i produttori del Castelmagno vogliono restare piccoli? “Premetto: se non avessimo ottenuto nel 2005 la Dop, oggi saremmo tutti morti”, risponde Fiandino. “Nel senso che senza Dop ci toccava scendere a valle, in pianura, e avremmo perso la qualità che invece oggi il nostro formaggio continua ad avere”. Si spieghi meglio. “E’ in montagna, da 600 metri in su, che il Castelmagno deve essere prodotto, trasformato e lasciato stagionare. E’ la tradizione”, puntualizza il presidente.
Il valore del re dei formaggi
Il prezzo all’ingrosso oggi è di 13 euro/Kg, al dettaglio di 16-17 euro/Kg, mentre per l’alpeggio – il formaggio stagionato un anno, quello più prezioso e antico (4000 forme su oltre 37mila nel 2017) – il prezzo sale a 21/22 euro/kg. “E’ grazie a questi prezzi che i produttori locali restano in vita, in questo senso ci aiuta la dimensione della nostra valle che è piccola e in un certo senso ci tutela dall’industria”, osserva Fiandino.
Che prova ad essere più chiaro: “Gli attuali prezzi ci permettono, in sostanza, di sostenere i costi logistici di produzione che sono ovviamente più alti rispetto a quelli della pianura. In montagna, l’industria non viene a produrre per questo motivo. Al massimo, acquista una produzione Dop e la delocalizza in una zona di prossimità, a valle. Non è detto che lì non segua il disciplinare della Dop, anzi. In alcuni casi, questo è già avvenuto. Certo, così si abbattono i costi logistici e i prezzi finali, ma cambia la tecnica di stagionatura a detrimento dei piccoli produttori e della tradizione”.
Che cosa prevede il disciplinare del Castelmagno? “Una stagionatura di almeno 2 mesi, poi c’è chi lo lascia stagionare anche 3. Come la mia azienda. Però, il peso del formaggio scende con il rischio di avere meno margini. Nel mio caso, la scelta di 3 mesi ha pagato”, risponde Fiandino.
“Penso a due bollini, uno rosso e uno verde”
Quindi, secondo lei, qual è la soluzione giusta per rendere più popolare il Castelmagno senza snaturare la sua tipicità? “Penso a due bollini, uno rosso e uno verde: nel primo, viene riportata la ‘voce’ stagionatura in montagna. Nel secondo, in pianura. E’ un modo per allargare la produzione ed educare i consumatori: perché se la tecnica di stagionatura di un formaggio viene snaturata, alla lunga chi lo consuma si abitua. Così si perde un patrimonio alimentare”.
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