ALMA, una Scuola, una Storia, un Protagonista: Albino Ivardi Ganapini
di Informacibo
Ultima Modifica: 05/09/2016
Quella di Alma, la Scuola internazionale di cucina italiana che ha sede a Colorno, all’interno di uno dei monumenti più rappresentativi del territorio, la Reggia, è la storia di un’idea trasformata in una realtà di successo, ma non solo. E’ anche la dimostrazione delle capacità di una classe politica e dirigente che ha saputo dotare Parma di un luogo di formazione, e di sapere, unico in Italia.
Al momento, Ganapini mantiene il suo impegno in Alma col titolo di presidente onorario.
Quando nacque l’idea di creare una scuola di cucina?
"Durante una delle prime giunte provinciali, Borri passò in rassegna gli immobili di proprietà dell’ente, e si soffermò sulla Reggia di Colorno, un luogo che lo colpì per la sua bellezza, ma anche per il silenzio in cui era avvolto. Per questo chiese a noi assessori di pensare come la Reggia sarebbe potuta tornare a vivere. Io presi seriamente la sfida lanciata dal presidente, e creai subito un gruppo di lavoro, in quanto volevo creare una scuola di cucina non solo parmigiana o emiliana. Volevo portare nel mondo l’arte della cucina italiana".
Come fu possibile trasformare un sogno in realtà?
"Per prima cosa mi preoccupai di costruire consenso attorno all’idea, perché sapevo che poteva funzionare solo se era sostenuta dalle realtà economiche e produttive di Parma e non solo. Creammo un comitato promotore, di cui ero presidente, che ottenne il sostegno della Provincia, della Camera di Commercio, di Ascom, dell’Unione parmense degli industriali e dei consorzi dei prodotti tipici. Potevamo contare anche sul ministero della Politiche agricole e sull’Istituto del commercio estero".
"Durante una delle prime giunte provinciali, Borri passò in rassegna gli immobili di proprietà dell’ente, e si soffermò sulla Reggia di Colorno, un luogo che lo colpì per la sua bellezza, ma anche per il silenzio in cui era avvolto. Per questo chiese a noi assessori di pensare come la Reggia sarebbe potuta tornare a vivere. Io presi seriamente la sfida lanciata dal presidente, e creai subito un gruppo di lavoro, in quanto volevo creare una scuola di cucina non solo parmigiana o emiliana. Volevo portare nel mondo l’arte della cucina italiana".
Come fu possibile trasformare un sogno in realtà?
"Per prima cosa mi preoccupai di costruire consenso attorno all’idea, perché sapevo che poteva funzionare solo se era sostenuta dalle realtà economiche e produttive di Parma e non solo. Creammo un comitato promotore, di cui ero presidente, che ottenne il sostegno della Provincia, della Camera di Commercio, di Ascom, dell’Unione parmense degli industriali e dei consorzi dei prodotti tipici. Potevamo contare anche sul ministero della Politiche agricole e sull’Istituto del commercio estero".
Il consenso però non è sufficiente. Ogni progetto ha bisogno di risorse per essere concretizzato.
"L’investimento complessivo si aggirava attorno agli 11 miliardi di lire. Tre miliardi li stanziò la Regione, mentre gli altri vennero investiti dalla Provincia, che garantì il proprio fondamentale impegno economico. Quello della sostenibilità economica fu uno dei primi problemi che cercai di risolvere, in quanto non dovevamo creare un carrozzone pubblico che viveva solo di sovvenzioni. In base alla mia esperienza manageriale dissi che la scuola doveva farsi solo se aveva uno spazio sul mercato".
"All’Università di Parma commissionammo una ricerca sulla formazione gastronomica e, in particolare, sugli istituti alberghieri. L’indagine disse che quando un giovane finisce un istituto alberghiero non ha ancora in mano una professione, in quanto gli occorrono ancora cinque o sei anni dopo il diploma prima di essere riconosciuto sul mercato del lavoro come cuoco o pasticcere. Da questa constatazione pensai che occorreva creare una scuola capace di portare i propri alunni, nell’arco di un anno, ad essere dei professionisti della ristorazione. I numeri attuali ci danno ragione, perché a due mesi dall’esame finale, il 90 per cento di chi ha frequentato i nostri corsi lavora in ottimi ristoranti".
Un volta trovate le risorse economiche sarà stato necessario individuare anche le persone giuste per dar vita alla nuova scuola. Chi la aiutò?
"Volevo che Alma diventasse una scuola impresa, per questo mi rivolsi a Riccardo Carelli, un manager che in Barilla ricoprì l’incarico di amministratore delegato del gruppo. Lo incontrai nel giugno 2002 e con lui riuscì a creare, nel novembre 2002, la società di gestione Alma srl, di cui Carelli divenne amministratore delegato, ed io presidente".
Alma ha potuto contare fin dall’inizio sull’appoggio di uno chef di indiscussa fama come Gualtiero Marchesi. Perché sceglieste lui per la carica di rettore?
"Marchesi è il padre della cucina italiana moderna, è colui che l’ha traghettata dalla tradizione alla modernità. Impiegammo 18 mesi per convincerlo. Avevamo bisogno di un garante, di una persona che facesse comprendere la serietà della scuola. A gennaio 2004 partì il primo corso di cucina italiana e a settembre il secondo, dopo che per tutto il 2003 fu fatto un grande lavoro di comunicazione. A tal riguardo ci aiutarono in modo determinante Fondazione Cariparma e la Camera di Commercio".
"Creammo un comitato scientifico per definire gli indirizzi didattici, presieduto da Gualtiero Marchesi, affiancato da Giovanni Ballarini, docente universitario esperto di antropologia alimentare, e dallo storico Massimo Montanari. Fu Marchesi a pretendere che si insegnassero la storia e la cultura della gastronomia italiana, perché era convinto che gli allievi dovessero essere dei cuochi colti. Da un punto di vista strettamente culinario, fu chiaro fin da subito che bisognava insegnare la cucina regionale italiana, che detiene una ricchezza straordinaria, ma non le ricette di 80 o 50 anni fa. Bisognava insegnare la cucina regionale praticata oggi nei migliori ristoranti del territorio".
Per riuscire ad insegnare la cucina regionale siete riusciti a coinvolgere quegli chef capaci di conquistarsi un ruolo da protagonista nei vari territori?
"Abbiamo assunto in maniera fissa, in qualità di docenti, i cuochi provenienti da varie parti del Paese, i quali avevano il compito di insegnare le tecniche di cucina. In più, ogni settimana, arrivava un cuoco ospite, e a tal proposito ricordo ad esempio Alfonso Iaccarino o Antonella Ricci, che si fermava ad Alma per qualche giorno e preparava dai 20 ai 30 piatti tipici della propria zona di provenienza. Questo elemento arricchì notevolmente i nostri corsi".
Come venero strutturati i primi corsi di cucina italiana?
"I primi sei mesi venivano svolti nella scuola, ed agli alunni veniva richiesto un impegno giornaliero di 8 ore. Gli allievi dovevano stare a Colorno, e per questo creammo dei residence per ospitare sia i frequentanti italiani che quelli stranieri. Terminata questa fase, erano previsti altri 5 mesi di stage nei diversi ristoranti. Ricordo che oggi sono 500 i ristoranti convenzionati con Alma per quanto riguarda la possibilità di svolgere degli stage".
Quando comprendeste che Alma stava diventando una scuola di riferimento per la gastronomia?
"A settembre 2005 si iscrissero 40 allievi, rendendo così necessaria la creazione di due sezioni, ed è a quel punto che capimmo che la scuola stava funzionando, tanto da spingerci ad attivare, nel 2006, anche un corso di pasticceria. L’anno successivo, nel 2007, fu la volta della sommellerie, in quanto il sommelier è un attore di primo piano nel campo della ristorazione. Facemmo un’alleanza con l’Associazione italiana sommelier e avviammo un corso per principianti oltre a un master rivolto a chi aveva già raggiunto il terzo livello Ais. Nei sotterranei della Reggia venne creata la cantina didattica di Alma. Infine, avviammo il corso per formare i manager della ristorazione. E’ a questo punto che capì di essere riuscito a realizzare il mio sogno, che era quello di creare una scuola dell’ospitalità italiana".
L’italianità di Alma è evidente, ma sembra altrettanto forte anche il richiamo all’internazionalità. Come è stato possibile farsi conoscere all’estero?
"Tra il 2003 e il 2004 io e Carelli andammo negli Stati Uniti, nelle varie scuole di cucina italiana, e proponemmo di mandare i loro allievi in Italia ad imparare la cucina regionale, perché solo stando sul territorio potevano conoscere anche le materie prime e visitare i caseifici, i prosciuttifici, le acetaie e le cantine. Riuscimmo a stringere alleanze con una ventina di scuole, e il primo accordo fu con una scuola di Seoul. Da quel momento, ogni anno la Corea del Sud manda a Colorno una quarantina di allievi. Una scuola di New York è arrivata a mandare 70 allievi all’anno. Ora possiamo dire che Alma è la scuola di cucina italiana più accreditata al mondo".
"Mediamente sono 1.200 i professionisti della ristorazione che si diplomano ogni anno, e di questi circa 250 provengono dall’estero. Possiamo dire che una bella pattuglia di professionisti che ora è in giro per il mondo ha studiato a Colorno. La scuola è riuscita a raggiungere anche una solidità economica, oltre che reputazionale. L’anno scorso Alma ha fatturato 10 milioni di euro, ha 80 dipendenti fissi più i docenti, e dal 2007-2008 ha iniziato a fare investimenti propri con capitali generati dalla società. A Colorno sono stati realizzati anche sei residence da 300 posti letto".
Visti i successi raggiunti, perché ha deciso di lasciare la presidenza di Alma?
"Nella vita viene sempre il momento in cui uno si chiede se sia opportuno continuare. Io ho capito che l’età stava avanzando e quindi era giusto iniziare a rallentare i ritmi di lavoro. Per questo motivo con i soci ho concordato la mia uscita, e la presidenza è passata ad Enzo Malanca. A me è stato assegnato il ruolo di presidente onorario di Alma".
Condividi L'Articolo
L'Autore